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Un ultras, un proiettile, mille bugie, nessuna verità

05 - 12 - 2007

In foto ultras bergamaschi stanno rompendo la vetrata della loro Curva. Vogliono che non si disputi la partita in segno di rispetto per la morte di un ultras ucciso da un agente di Polizia. Sulla foto la scritta: 'In caso d'omicidio rompere il vetro?' L'articolo che segue a firma Barbara Salomone è tratto da "Sport People" del 28 novembre 2007.

Bastava poco

Gabriele è morto ammazzato da un colpo di pistola sparato da un agente di polizia.
Bastava questo.
Lontano o vicino dallo stadio un ragazzo è morto per un uso indiscriminato delle armi da fuoco da parte di un agente di pubblica sicurezza.
Bastava questo per fermare tutto.
Fermare baracca e burattini, del calcio; fermare fabbriche e scuole; fermare le parole, il saccente vociare dei media; fermare il paese. Fermare e fermarsi. Fermarsi e riflettere perché così non si può e non si deve morire.
Fermarsi e partecipare al lutto della famiglia e degli amici perché su quella piazzola di sosta dell'Autosole Gabriele era nostro fratello, figlio, padre, amico. Al posto di Gabriele potevamo esserci tutti noi e, forse, insieme a lui se ne va molta della nostra innocenza e si rafforzano convinzioni delle quali facevamo volentieri a meno. Insieme a Gabriele se ne vanno molte sicurezze, arrivano dubbi e cattivi pensieri, arriva la constatazione che per giungere alla verità la strada sarà lunga e tortuosa e che, fin da subito, mezze parole date col contagocce non hanno fatto altro che favorire i vari scaricabarile per arrivare a tarda sera al disastro di una folle domenica iniziata con la più folle delle notizie.
La verità nel nostro Paese è merce rara e preziosa, tenuta nascosta come un pregiato gioiello da cassaforte, troppo costoso da indossare tutti i giorni. E quella domenica il teatrino della mezza menzogna ha messo in atto il suo più bello spettacolo: dalla rissa, al colpo sparato in aria, mancava solo il sasso di Genova. E poi, a tarda sera, in pieno caos romano e passato il ciclone di Bergamo, ecco le parole "ad altezza d'uomo" che si profilano all'orizzonte, come se il finestrino perforato ed il corpo di Gabriele dentro l'autovettura potessero ancora lasciare spazio al dubbio.
Bastava essere chiari fin da subito. Invece niente chiarezza e niente verità, ma decisioni prese male e con estremo ritardo. Così il baraccone del calcio ha reputato di non fermarsi, ha quantificato la morte di Gabriele - che oltre ad essere un comune cittadino era pur sempre un tifoso in trasferta - con dieci minuti di ritardo ed una fascetta nera al braccio, decretando, per sempre, che esistono morti di serie A e altri di serie B, con sponsor e pay tv che non possono scendere a patti rinunciando al guadagno quotidiano che dirige e regola la vita del calcio italiano.
E se già la memoria di Gabriele è stata così calpestata i fatti del pomeriggio finiscono di offuscarla del tutto. Più si delineavano le vicende accadute all'autogrill aretino, più le voci si sono spostate sui campi di calcio, sulla vetrata rotta di Bergamo e la transenna di Taranto, come se due partite sospese avessero molta più importanza di una vita spezzata senza senso da un'arma che rappresenta lo Stato italiano. Tralasciando i fatti di Roma, dettati anche a dinamiche sicuramente extracalcistiche e interne alla capitale stessa di cui solo ora sembrano accorgersi i saccenti del pallone ma note da tempo a chi aveva il compito di osservarle, gli avvenimenti di Bergamo e Taranto hanno aperto un dibattito teso ad offuscare, quasi insabbiare ciò che è accaduto nella mattinata. A quanto sembra a media e politici fa più paura veder sospendere una gara come quella di Bergamo che, considerato anche gli incidenti avvenuti prima dell'inizio, forse era meglio non far disputare, piuttosto che dover ammettere tutte le responsabilità sui non detto, sulle risposte non date e sulle decisioni non prese.
Bastava pensarci prima.
Forse così facendo si ammetteva la triste verità che per un giorno si poteva ascoltare il grido dei cattivi ultras, che altro non volevano se non il rispetto per una morte assurda, di quelle che ti fa venire il magone e ti strozza la voce. Forse ammettere che per una volta i cattivi avevano ragione era troppo per il baraccone, le ballerine ed i nani della politica, pronti a fare dell'occasione uno spot elettorale per darsi addosso l'un con l'altro per poi finire, come sempre, a braccetto fra un privilegio ed un'auto blu. E dare ragione agli ultras era troppo anche per il baraccone ed i burattini del calcio e dei media, subito con l'indice accusatorio, celeri nel condannare e mai domi nel cercare colpe altrui. Ed alla fine, i nani e le ballerine, i burattini e i burattinai di politica, calcio e media, si sono traditi con le loro mani tornando, indietro e decidendo di fermare i campionati la domenica successiva per onorare la memoria di Gabriele. Così alla morte si aggiunge la beffa di un ricordo postumo e tardivo di un mondo che ormai ha perduto ogni remora, un mondo troppo attaccato ai suoi privilegi senza saper andare oltre nell'ammissione dei propri errori.
Bastava pensarci prima.
Perché così Gabriele è morto, ed è morto troppe volte. Gabriele è morto la prima volta per mano di un uomo dello Stato senza un valido motivo. Gabriele è morto la seconda volta nelle giustificazioni che sembrano più un viatico nella ricerca di alleggerire pene e responsabilità. Gabriele è morto la terza volta quando il suo ricordo è stato valutato dieci minuti e poi, infine, la quarta volta quando a posteriori si è deciso di farlo ritornare degno di un ricordo lungo una giornata di calcio.
Gabriele è morto e bastava questo.
Forse non per tutti.

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