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Sburgiardando Spaccarotella padre, Martucci replica a Sansonetti. L'omicida di Gabbo è indifendibile |
Sabato 29 Gennaio 2011 10:00 |
Polemica con Piero Sansonetti: di Maurizio Martucci
Rileggendo Annozero della puntata Ruby Rubacuori, sabato Il Fatto Quotidiano s’è spinto a chiedere l’intervento di Sergio Zavoli (Presidente Commissione Vigilanza Rai) per regolamentare gli interventi di politici kamikaze pronti ad esplodere sulle reti di stato, devastando “il dibattito, urlando, dimenandosi, interrompendo, coprendo le voci altrui, insultando conduttore, pubblico e ospiti, oltre la logica, sintassi e pubblica decenza”. In concreto, seguendo questo ragionamento, coi programmi foraggiati dal canone, dovrebbero ridimensionare i toni anche i giornali sostenuti dal finanziamento pubblico. Ma non solo per arginare turpiloqui contaminati da “linguaggio fascista e cultura stalinista”, come Piero Sansonetti ha scritto su Il Riformista alludendo alla vulgata di editorialisti con poco sale in zucca (niente di meno, si riferiva a Paolo Flores D’Arcais e Marco Travaglio). Perché oltre la forma c’è pure la sostanza, cioè il contenuto, il nocciolo del contendere, che non è certo cosa da meno rispetto a zoppicanti perifrasi e pruriginose analisi logiche. Perché, come dice l’aforisma “la penna ferisce più della spada”, una trama travisata può offendere la verità come un corpo contundente, dirottando umori e opinione pubblica, permutando l’attendibilità con la falsificazione, il bianco col nero, il veritiero col mendace. Su questa buccia di banana (e che razza di buccia!) è scivolato il quotidiano regionale Calabria Ora, diretto (guarda caso) proprio da Piero Sansonetti, contemporaneamente in sella anche nel settimanale Gli Altri e già direttore di Liberazione (quotidiano del Partito della Rifondazione Comunista).
SCRIVE PAPA’ SPACCAROTELLA E’ bastata in prima pagina una lettera sul delitto di Gabriele Sandri a firma di Vito Spaccarotella, aperta da un titolo inequivocabile: “Papà Spaccarotella: mio figlio non è un assassino”. Premessa: tralasciando le maligne critiche mosse contro Sansonetti, accusato da sinistra di collaborazionismo berlusconiano pure a Porta a Porta (proprietà transitiva: come il Premier, anche Luigi Spaccarotella è un perseguitato dalla magistratura?), omettendo le affinità curriculari partitico-territoriali tra Vito Spaccarotella e Piero Sansonetti (papà Spaccarotella vive a Cetraro, costa calabrese tra Paola e Scalea, e dal 2000 è dirigente della locale sezione del Partito della Rifondazione Comunista: ben informati ricordano dopo il G8 le tesi anti-Placanica sul carabiniere che uccise Carlo Giuliani), rimarcando la sua assoluta estraneità all’uccisione dell’Autostrada del Sole (certamente né lui né suoi parenti possono rispondere per l’azione compiuta dal figlio ed è umanamente comprensibile l’angoscia che da genitore sostiene di vivere, anche se resta il dubbio sulla tempistica scelta per esternarla con missiva in redazione a tre anni dai fatti ed in prossimità dell’esecutività della condanna), resta che il direttore di Calabria Ora è riuscito a spingersi lì dove ancora nessuno, a rigor di logica, era mai arrivato: “Gentile Signor Spaccarotella – ha garbatamente replicato Sansonetti - Lei pone tre problemi che secondo me sono molto seri. Il primo riguarda il senso di una sentenza che giudica esagerata e ingiusta (e penso abbia ragione). Il secondo riguarda la distinzione tra giustizia e vendetta, tra sentenza rigorosa e sentenza esemplare. Il terzo problema riguarda una nuova tendenza culturale che sta emergendo nel nostro paese in questi tempi: quella del linciaggio”. In ordine gerarchico: sentenza esagerata, vendetta e linciaggio aggravato dall’epigrafe in questi tempi! Alt, fermi tutti, perché davvero qui le cose sono tre, ma molto diverse, eccome: primo Sansonetti dimostra di essere in preda ad un delirio di significato (cosa ne direbbero semiotica e scienze cognitive di Umberto Eco?) ben più grave del j’accuse sugli estetismi lessicali sferrato a colleghi maleducati e villani integralisti da bar e talk-show. Secondo dimostra di sollazzarsi su superficiali stereotipi, come tali pregiudizievoli, ingannevoli e generalizzanti (il poliziotto buono, l’ultrà cattivo, senza distinzioni di merito, né eccezioni o vie intermedie), dimostrando di non aver seguito i due gradi di giudizio celebrati nei tribunali di Arezzo e Firenze contro Luigi Spaccarotella (condannato in appello all’interdizione dai pubblici uffici con 9 anni e 4 mesi di reclusione per omicidio volontario con dolo eventuale). Terzo, forse per spicciolo campanilismo da copie in più in edicola (l’intervento è stato ripreso da Il Giornale e TGCOM, scatenando aspre polemiche sul web) Sansonetti ha strumentalmente utilizzato l’esito del processo Spaccarotella per rinforzare in modo subliminale il teorema che in Italia convivano populismo forcaiolo e magistratura complottista (parafrasando il video-messaggio sul Bunga-Bunga Gate, visto che c’era poteva spingersi pure oltre, definendo i giudici direttamente rossi e comunisti).
MISTIFICAZIONI E DEPISTAGGIO STRUMENTALE La lettera di Vito Spaccarotella è piena zeppa di inesattezze, capovolgimenti di fronte. Stravolge la realtà seguendo il più classico schema di sostituzione delle parti, scambiando la vittima col carnefice. Ecco come: “Sono Vito Spaccarotella, papà di Luigi, l’agente della polizia stradale accusato dell’uccisione di Gabriele Sandri”. Falso, per la giustizia italiana il figlio non è più un imputato bensì un condannato, essendo già stato giudicato come esecutore materiale dell’omicidio Sandri. E seppur il nostro stato di diritto poggia sul presupposto di non colpevolezza sino al terzo grado (Cassazione a Roma, a cui i legali difensori hanno annunciato di ricorrere), è altresì inconfutabile che sul corpo di Gabbo il colpo mortale arrivò dall’arma impugnata da Luigi Spaccarotella. E lo si vorrebbe far passare per innocente, come se non fosse stato lui ad uccidere? “Il giorno in cui è avvenuto quel dramma, mio figlio è intervenuto sul posto perché era in atto una presunta aggressione e, comunque, una rissa tra gruppi di tifosi di squadre di calcio contrapposte”. Falso, alle 9.18 (orario del delitto) il figlio era già in loco, fermo nella stazione di servizio Badia Al Pino Ovest insieme ad altri colleghi, impegnato in un’operazione di controllo su un’autovettura. E poi, nell’autogrill della morte (dall’altra parte della carreggiata), non ci furono agguati, scazzottate né scontri, tant’è che la stessa procura aretina archiviò l’ipotesi di rissa aggravata senza batter ciglio, e quando nel 2009 in Corte d’Assise il figlio fu condannato per omicidio colposo con colpa cosciente (derubricando la richiesta della volontarietà correttamente sostenuta dal PM) nel dispositivo emesso dal primo giudice si parlava di semplice ‘bravata’ tra giovani, riferendosi all’antefatto dello sparo, e non certo di orde barbariche di ultras assetati di sangue, travisati e armati sino ai denti con materiale da ferramenta, come pretestuosamente si continua a dire soppiantando la realtà con una dimensione mediatica facilona. “Mio figlio, ossia il poliziotto di turno, ha cercato di bloccare quella furiosa rissa (…) poi, poco dopo, la tragica fatalità (…) il proiettile che viene deviato da una maledetta rete”. Falso anche questo, perché non fu mica una fatalità. Caspita! Cinque onesti testimoni super partes (c’era pure una giapponese!) riferirono a togati e giuria popolare di aver visto Luigi Spaccarotella sparare volontariamente da una parte all’altra dell’A1, proprio verso un’automobile in movimento. Alcuni sostennero addirittura di averlo scorto in posa da far west o come in un film girato al poligono di tiro, braccia parallele all’asfalto e pistola d’ordinanza saldamente afferrata, vestendo i panni del cecchino. E poi le perizie balistiche, la ricostruzione della traiettoria stabile priva di decelerazioni cinetiche e senza deviazioni influenti, che per giunta anche qualora ci fossero state (lo hanno scritto i periti tecnici e certificato i giudici) non avrebbero comunque impedito alla pallottola di centrare il finestrino dell’abitacolo su cui viaggiavano Sandri e amici, non intaccando il paniere probatorio sull’assunzione del rischio di uccidere una o più persone. “E’ impensabile, infatti, sostenere o ipotizzare anche solo per assurdo che mio figlio, un ragazzo perbene (…) esca di casa con l’intenzione di sparare ad un altro uomo”. Questo bisognerebbe chiederlo a Mattia Lattanzi, ex marito dell’attuale moglie di Luigi Spaccarotella: pubblicamente lo ha definito un esaltato dal grilletto facile che abusava della divisa (altro che onorarla!) per minacciarlo di morte a mano armata, dipingendo un quadro a tinte fosche simile a quanto consumato l’11 Novembre 2007.
CAPTATIO BENEVOLENTIAE Infine, il padre di Spaccarotella ha trovato un pensiero anche per la famiglia Sandri, perseguendo però un obiettivo personalistico e utilitario: ingraziarsene il perdono. “Il loro atroce dolore sarà più sopportabile se potrà creare nuovo dolore, nuove pene ad altre persone? Io non lo credo, non ho mai pensato che fosse questo il senso della giustizia.” Chiaro il riferimento alla possibilità che il figlio possa evitare la galera attraverso la concessione della grazia dei famigliari della vittima (sinora l’omicida non ha scontato nemmeno un giorno di carcere, restando regolarmente in servizio sino all’anno scorso, con tanto di busta paga sostenuta dai cittadini contribuenti). Ecco, chiariti gli aspetti giudiziari, però su quest’ultimo punto Sansonetti avrebbe dovuto quantomeno replicare, senza far finta di ignorare l’escamotage fraseologico utilizzato dal signor Vito (sempre che in cuor suo non abbia voluto condividerlo): un conto è la pietas umana, sentimento intimo e privato (non la si può certo pretendere, tanto meno sbandierare su copertine patinate e tabloid). Altro discorso è il conto aperto con la giustizia italiana: in una democrazia compiuta, dove la legge è sempre uguale per tutti e non esistono cittadini extra legge, la pena per un reato costato la vita ad un ragazzo innocente di 26 anni, disarmato ed a bordo di una vettura in movimento sull’autostrada, si sconta all’interno degli istituti penitenziari e non certo rilasciando interviste buoniste per Quarto Grado di Rete 4 o negli esclusivi servizi fotografici de L’Espresso. Non c’entrano vendetta, rappresaglia e giustizia sommaria di cui, francamente, non se n’è mai sentito il bisogno. E’ solo una questione di certezza della pena e di rispetto dei cardini del garantismo costituzionale, affinché il crimine commesso possa civilmente essere espiato nelle patrie case circondariali con un equo percorso riabilitativo. Senza aggravanti, ma senza nemmeno attenuanti. Altrimenti sarebbe come dire: “è stato un banalissimo incidente di percorso, nulla più. Tanto alla fine Gabriele Sandri non torna più in vita e ai loro genitori non gli e lo ridarà più nessuno: allora lasciamo libero mio figlio, facendo come se non fosse mai successo niente. Che male c’è, anche lui tiene famiglia e non ha santi in paradiso”. Caro Sansonetti, vabbè che il Governo è costantemente impegnato a contarsi, limando emendamenti per riformare il sistema giustizia. Ma almeno, sino a prova contraria, nel nostro codice non c’è traccia del lodo Spaccarotella e del legittimo impedimento in versione Spaccarotellum. Maurizio Martucci dal blog del libro CUORI TIFOSI – cuoritifosi.ormedilettura.com |