L'americanizzazione dello spettatore incombe PDF Stampa E-mail
Lunedì 07 Luglio 2014 20:06

In un’intervista fatta per il libro “Stadio Italia. I conflitti del calcio moderno” ad un ultras della Fiorentina, quest’ultimo racconta del clima che ha trovato negli USA, a una partita NBA: “Pochi anni fa sono andato a Washington e mi sono andato a vedere una partita di NBA.

 

 

C’era Washington Wizards contro Devers Nuggets. Il palazzetto era gremito per metà, ma gli spazi vuoti erano tutti in alto, dalla tv sembra sempre tutto pieno. Sopra al campo c’era un gigantesco cubo sospeso, dove sono montati 4 grandi schermi visibili da ogni prospettiva. Questo cubo è il sovrano assoluto di tutto ciò che avviene nel palazzetto. Lo affiancano la voce dello speaker, che parla in continuazione, e la musica, che esce dalle grosse casse anche durante il gioco, e non solo quando è fermo. Quello che ti racconterò ora ti sembrerà fantascienza, ma è assolutamente reale e quotidiano in America. Questo cubo ti dice in ogni momento cosa fare, è un burattinaio: «make noise» quando gli avversari battono un tiro libero, «applause» quando i Wizards concludono. Nelle pause tutto ciò che accade nell’arena è interamente scandito dallo schermo del cubo. C’è il gioco di baciare il vicino: una telecamera con l’obiettivo a forma di cuore riprende le coppiette sedute. Siccome accade nei momenti più impensati e non c’è volta che chi è ripreso non se ne accorga, vuol dire che tutti guardano in continuazione lo schermo. Insomma, tutti guardano lo schermo, e quando ti vedi nel cubo, baci la ragazza accanto a te, appare la scritta «applause» e tutto lo stadio applaude. E ciò accade una tonnellata di volte. Poi c’è il gioco dell’uomo-pizza. Un uomo ridicolo, tutto vestito da pizza, che dev’essere toccato da uno del pubblico bendato, che se lo tocca vince una pizza. Poi ci sono le schiacciate dei bambini, le ragazze pon-pon. C’è una costante interazione col pubblico. Il punto essenziale è che è uno spettacolo senza spazi vuoti, tu col tuo vicino non parli mai, lo spettacolo è omogeneo, senza buchi, senza interruzioni, strutturato per non permettere interazioni particolari tra spettatori. Ogni interazione è mediata dallo schermo, che tutti guardano continuamente. A un certo punto mi giro e vedo questo ciccione esagerato. Stiamo tutti su delle poltrone enormi, non i seggiolini scomodi dei nostri stadi, delle poltrone su cui sprofondi come in un cinema d’ultima generazione, con il porta-bibite e il porta pop-corn. Il ciccione si ingozza e basta, tutto il tempo, senza muovere alcun muscolo, gioire o imprecare. S’era sfracellato di hotdog e a un certo punto si alza in piedi e inizia a ballare tutto scalmanato. Io non capivo il perché, guardavo la partita e non era successo niente in quel momento. Poi ho guardato il cubo e ho visto che stava ballando là. Finita la ripresa si è rimesso a sedere, e non si è mosso più. Non ho nemmeno capito se a un certo punto uno si mette a ballare per farsi riprendere, o il contrario. E’ un continuo di gente che si alza e fa i versi. Tutti al servizio di questo cubo. Poi lo speaker ha detto: «tutti in piedi». Tutti si alzano. La telecamera va su un palco tutto illuminato, una specie di tribuna d’onore sormontata da uno striscione con le seguenti parole: «Honour our troups». C’erano quattro militari in divisa, veterani dell’Iraq, e la voce dello speaker ha scandito: «Alziamoci in piedi e rendiamo omaggio ai nostri ragazzi, che proteggono la nostra libertà (freedom) e il nostro life style nella guerra contro il terrore in Iraq». Anche nei monumenti ai caduti là si parla sempre di libertà e life style come i valori supremi da difendere. Senza soluzione di continuità siamo tornati in un baleno al gioco delle coppiette, mentre la partita in campo non era per nulla male. Si avanzava punto a punto, siamo 86 a 84, e la gente cinque minuti prima, che nel basket è un’eternità, se ne va a spostare la macchina. [...] Succede che vai allo stadio non ad assistere a un evento ma a uno spettacolo. Quando arriverà in Italia? [...] Mio babbo dice sempre, quando ci sono le partite di cartello: «Dicono che è tutto esaurito, vergogna», perché si ricorda lo stadio murato di folla, gente dappertutto, perfino a bordocampo, appollaiata ovunque, in piedi pure in Maratona. Per un quarto di finale di Coppa Italia nel 1987 veniva giù tutto. Quest’anno con la Lazio era imbarazzante. Fatte le debite proporzioni, quello che ho provato quando al rigore di Vargas è partita la techno è stato simile all’ipnosi che la partita americana mi aveva provocato. Non riesco a non leggerlo come un segnale di quello che, augurandomi di sbagliare, potrebbe succedere nei prossimi anni, quando anche quegli straccioni degli italiani avranno adeguato i loro standard di spettacolo. Ho sentito con orrore la mia emozione schiacciarsi sull’asetticità del momento, e al gol ho accennato una timidissima esultanza che niente ha a che fare con quanto anni fa, vista anche l’importanza calcistica del momento, avrei provato. Tanto che un mio amico mi ha detto: «Cazzo, ti sei imborghesito, monte di merda».


[FONTE: Sport People]

.