Dai che si parte: la trasferta in pullman PDF Stampa E-mail
Sabato 01 Febbraio 2014 19:05

Un segmento importante, direi quasi basilare, della partecipazione del tifoso alla vita della propria squadra è avere la possibilità di seguirla anche lontano dalle mura amiche, in quella che ormai comunemente viene chiamata trasferta.

 

 

Tale manifestazione, oggi osteggiata dai nostri governanti, più per coprire altre magagne che altro, una volta era una vera e propria occasione di aggregazione popolare. I miei ricordi di tifoso da andropausa vanno subito agli albori di queste “passeggiate” pericolose fuori porta. Iniziate alla fine degli anni 70 presero piede nei successivi lustri fino a diventare vere catene di fratellanza saldate da vincoli di amicizia e di passione. Erano anni in cui in trasferta si andava tutti insieme, sportivi e tifosi, coordinamento ed ultras, e dove potevi tranquillamente vedere seduti in pullman Fulvio e Jumbo, Giuseppe e Glauco uno accanto all’altro.

Tutto però iniziava sempre il sabato. Eh si, in quegli anni vivaiddio, le partite si giocavano solo di domenica pomeriggio e il giorno precedente era dedicato alla preparazione, una sorta di rito scaramantico da rispettare e mai dimenticare. Si andava dalla scelta dei panini da farcire agli indumenti da indossare il giorno dopo, cercando di onorare una cabala che però purtroppo raramente funzionava. Poi la domenica, sciarpa al collo e zainetto in spalla si partiva alla volta del ritrovo dei pullman (Torre del Moro e Bar Bianconero) e subito ci si cominciava a guardarsi intorno. Più la trasferta era “insidiosa” e più si notavano facce e corpi di sostanza e sicurezza che ti facevano sospirare “Dai! Dai! che oggi ci siamo”. E il mio pensiero va ad una trasferta, mi sembra in terra veneta, dove prima di salire sul pullman mi si avvicina un ragazzo che non aveva i soldi per partecipare, il quale era disposto a cedere la sua sciarpa (era una sciarpa degli ultras dell’Ajax) pur di poter salire. Ricordo come fosse ora che gli diedi 10mila lire senza chiedergli nulla in cambio. La sera, al ritorno a casa mentre svuotavo il mio zainetto, trovai con grande stupore, quella sciarpa che lui voleva cambiare. Non ricordo il risultato di quella partita, ma questo gesto statene certi è rimasto indelebile nella mia mente.

La consistenza di cui parlavo prima la si notava anche dal numero dei torpedoni con la scrittaGran Turismo che porte aperte ci aspettavano per trasportarci in località che col turismo c’entravano ben poco. Il mio ricordo va alla trasferta di Ferrara (primavera 81), per esempio, dove la fila dei pullman era talmente lunga che se anche ti sporgevi dal finestrino non vedevi mai la fine. E ti sporgevi e come se ti sporgevi per vedere quanti si era! Una volta seduto sul pullman cominciavi a fraternizzare con i tuoi vicini e già gli odori dei panini al prosciutto si mischiavano con la porchetta distesa tra i due tranci di piada. Il tutto accompagnato dal rumore di tappi che saltavano e da lattine che si piegavano. Un greve quanto inebriante pro-fumo aleggiava nell’aria di questi vecchi pullman fino a farti quasi addormentare in una sorta di ascesi mistica ed irreale. Ci si dilettava in pronostici e scelte tecniche, se far giocare quel giocatore o quell’altro e dove il 4-3-3 era la disposizione delle farciture all’interno del panino (4 prosciutto 3 formaggio e 3 insalata) e il 4-4-2 erano le salsicce che ti erano rimaste per il ritorno.

Ma più la metà era prossima più l’adrenalina saliva. Se ci si fermava per una sosta all’autogrill la prima cosa che si faceva era guardarsi intorno e controllare se nell’area di servizio erano presenti altri pullman di sostenitori più o meno nemici. Un capitolo a parte meriterebbe raccontare quello che succedeva all’interno di questi bar/ristoranti, ma forse è meglio tacere. Decisamente. Una volta arrivati al parcheggio di destinazione, il più delle volte senza scorta, si scendeva con i famosi quattro occhi, due davanti e due dietro, perennemente in funzione. Ci si riuniva intorno ai capi pullman e tutti insieme si procedeva a piedi verso la stadio, in una sorta di processione ordinata ma incazzata. Coloro che nei propri zaini trasportavano striscioni e pezze erano i più scortati, o meglio intorno a loro marciavano quelli più tosti e decisi. Partivano i primi cori, quasi a far capire agli avversari che i sostenitori del cavalluccio erano lì presenti, in arrivo. Più ci avvicinava e più il pericolo aumentava ma la consapevolezza di esserci era più forte di qualsiasi timore e/o paura. Sciarpe al collo e bandiere in mano si arrivava tutti uniti davanti alle porte d’ingresso del settore ospiti. Li maschere (oggi hanno cambiato il loro nome nel più moderno steward) e addetti alle forze dell’ordine ti guardavano con facce burbere e occhi spietati, volti a ricordarti di non pensare nemmeno di fare qualcosa di strano. Ma i tuoi occhi non incrociavano i loro, erano tutti proiettati a quello che ti immaginavi ci fosse al di là di quei muri e di quei divisori. Di quella gente che ti aspettava per infamarti e sbeffeggiarti, di quel rettangolo verde dove fra poco si sarebbero cimentati i tuoi beniamini e dove tu avresti fatto finalmente evadere la tua passione dal tuo cuore.

[Fonte: TuttoCesenaWeb]