Legge stadi, il calcio è solo una scusa PDF Stampa E-mail
Venerdì 22 Novembre 2013 10:56

Quali sono gli interventi infrastrutturali più urgenti oggi in Italia? Lavorare sul dissesto idrogeologico? Ferrovie? Nuove strade? Macché. A stare all’ultima iniziativa legislativa del governo, la risposta è: nuovi stadi e impianti sportivi in generale.

 

 

È quanto si evince da una bozza di emendamento del governo al disegno di legge di Stabilità circolata ieri pomeriggio in Senato, che non solo rifinanzia il cosiddetto fondo salva-stadi per 45 milioni di euro, ma concede a questo tipo di progetto canali di approvazione preferenziali e rapidissimi. A questo punto non ci si sorprenderà nel sapere che l’emendamento contiene anche il relativo regalo ai costruttori sotto forma di permessi di edificare, insieme agli stadi, nuovi edifici di ogni ordine e grado.

IL TESTO, INFATTI, prevede non solo la costruzione o la ristrutturazione di “uno o più impianti sportivi”, ma pure di “insediamenti edilizi o interventi urbanistici, entrambi di qualunque ambito o destinazione, anche non contigui agli impianti sportivi”. Vale a dire palazzi, ristoranti, negozi pure a chilometri di distanza dal sito interessato. E il criterio con cui si autorizza una cosa del genere? Semplice: “Il raggiungimento del complessivo equilibrio economico-finanziario”. In parole povere, con la massiccia cementificazione del territorio si paga lo stadio.

Non si tratta, peraltro, di un problema circoscritto: è noto il caso della As Roma – che vuole costruire il “nuovo Olimpico” sull’ex Ippodromo di Tor di Valle – ma molte altre società sono interessate a questo lucroso affare tanto in Serie A che tra i cadetti (ben 11 squadre di B hanno già aderito a un progetto sul tema della loro Lega). Solo che il punto debole di questo tipo di progetto, solitamente, è più la complessa procedura autorizzativa che non la compatibilità economica. No problem, ci pensa il governo inventandone una che ricorda le ricostruzioni post-terremoto.

Funziona così: la società X presenta uno studio di fattibilità al comune interessato, il quale ha 90 giorni di tempo per dichiararne “l’interesse pubblico”. Se va bene, X può presentare il progetto vero e proprio e la Giunta comunale ha 120 giorni per il via libera: se poi la faccenda comporta “varianti urbanistiche o valutazioni di impatto ambientale” serve il sì definitivo della regione entro 60 giorni. Va bene, si dirà, ma se qualche Soprintendenza si mette di mezzo? Niente paura: se qualche ufficio preposto “alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico, della salute o della pubblica incolumità” dà parere contrario, arriva nientemeno che Palazzo Chigi, il quale adotta o fa adottare entro 90 giorni massimo “i provvedimenti necessari”.

[FONTE: Dodicesimo Uomo]