Gemellaggi
La bandiera a mamma De Falchi |
Martedì 02 Luglio 2013 15:54 |
TONINO CAGNUCCI: Che tuo figlio sia diventato una bandiera non ci fai niente se tuo figlio non ce l’hai più. Quando un figlio muore, tutto muore. Il linguaggio arriva a dire “vedovo”, “orfano”, ma per un genitore che perde un figlio non ci sono le parole. Mamma Esperia le ha perse tutte quando ha perso il suo Antonio il 4 giugno 1989, ucciso da una carica vigliacca di assassini per lo più rimasti impuniti. E’ caduto in terra fuori San Siro senza santi ma con una sciarpa mentre stava per andare a vedere la sua Roma. Una passione. Un gioco. Un’occasione. Un’avventura. Un mondo da colorare. Una partenza. Un viaggio da condividere. Tanti sogni da fare. Di vita per lo più. Lo hanno ammazzato a 18 anni. E con lui è morta nel cuore una mamma. A volte bestemmiare il cielo ti sembra quasi un dovere, dopo che oltre le parole hai prosciugato lacrime e preghiere.
Che tuo figlio sia diventato una bandiera non ci fai niente, ma se quella bandiera te la regalano altri figli, uomini, donne, ragazze, persino bambini (c’erano sabato i bambini) e la portano in mano e ti dicono “Mamma Esperia Antonio è sempre qui” tu riesci persino a sorridere. Vi rendete conto della grandezza di un sentimento che sta dentro ai tifosi della Roma?!?! Sono loro che sabato 29 giugno, giorno festivo, ponte eccetera hanno organizzato su un campo sulla Tiburtina (dove Roma profuma di più delle sue strade e quindi di Roma) un memorial intitolato ad Antonio De Falchi. E’ durato tutto un pomeriggio, fino a sera, saranno passati quattrocento ragazzi lì, hanno giocato venticinque squadre, per un torneo di calcio a 5 che serve a stare insieme, a ricordare Antonio, a fare Roma. Quello che faceva Antonio. Verso sera, quando tutto sembra più dolce e sempre meno grave, è arrivata anche la famiglia di Antonio. E’ arrivata Mamma Esperia provata da troppe troppe cose dalla vita, e privata di tutto dalla morte. C’era lei e c’erano le sue figlie e le sorelle di Antonio, Anna e Luisa, il fratello di Antonio, Marco, la nipote Cristina e la pronipote Lucrezia. La famiglia della Roma. I ragazzi della Sud, ma c’erano anche i ragazzi della Roma che vanno in Nord, quelli che stanno in Tevere, c’erano i tifosi belli della Roma, le hanno regalato la bandiera che più o meno da sempre sventola in curva, col volto di Antonio con la maglietta della Roma, quella che si metteva quando andava allo stadio. Anche quel giorno. Ha pianto sabato mamma Esperia, come fa ogni giorno da quel giorno senza più tempo, senza mai senso. S’è commossa anche di più quando le hanno consegnato una targa dove c’era scritto: "Ieri oggi domani, eternamente nel cuore della tua gente. Alla famiglia di Antonio. Gli ultras della Roma".Gli ultras della Roma, quelli che vengono criminalizzati spesso, sempre, troppo. Una cosa come questa di sabato invece è una cosa enorme, che dovrebbero aprirci i tg nazionali, coi titoli più grandi possibili, basterebbe farne cronaca. Dei ragazzi, dei ragazzini, dei figli e dei padri hanno regalato a una mamma senza più un figlio un sorriso. E questo dopo ventiquattro anni dalla tragedia. E’ tutto quello che si può fare quando non si può fare niente: opere di bene e fiori e bandiere pure se servono per l’attimo di un sorriso in un deserto di ferite. Fiori che nascono per morire, come Antonio. Bandiere che sono fatte per stare nel vento, non dove doveva stare adesso Antonio. Quando hanno ucciso Antonio il 4 giugno 1989 al Palaeur i Cure cantavano "Just like heaven". Significa "Proprio come il paradiso". Se c’è qualcosa di simile uno se lo deve immaginare come un sabato d’estate sulla Tiburtina a Roma, quando i tifosi della Roma hanno regalato la bandiera con Antonio alla sua mamma. Con quella bandiera non ci può far niente, ma se la può abbracciare mentre dorme. Mentre dorme come fa lui. [FONTE: Sport People]
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