BOYS PARMA 1977

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Lettera BOYS PARMA 1977 ai parlamentari locali

19 - 03 - 2007

Alla cortese attenzione dell'
On. Carmen Motta,
della Sen. Albertina Soliani,
del Sen. Mauro Libè,
e del Sen. Pietro Lunardi;

e per conoscenza
ad Elvio Ubaldi, Sindaco di Parma,
a Vincenzo Bernazzoli, Presidente della Provincia di Parma,
a Tommaso Ghirardi, Presidente del Parma Fc,
e ai mezzi d'informazione locali.

Siamo i Boys Parma 1977, il gruppo ultras del Parma Calcio. Dal 1977 offriamo una via alternativa e una vita comunitaria a tanti ragazzi e ragazze. Un'aggregazione generata da una comune passione, che si realizza compiutamente nel senso d'appartenenza al gruppo. Un gruppo ultras, quindi oltranzista; popolare, quindi crudo nell'esprimersi e pronto a far valere i propri diritti. Pronto ad usare la forza per autodifesa e per coraggio, indisponibile a subire qualsiasi sopruso, nemico della slealtà e della prevaricazione. Un corpo sociale dove le persone convivono, discutono, collaborano, si confrontano, si aiutano, crescono e progrediscono. I Boys non sono un'entità virtuale, non sono un club di tifosi che si raduna saltuariamente in occasione di taluni eventi sportivi. I Boys sono una comunità, fatta di uomini e donne che vivono fianco a fianco. Decine sono le attività che impegnano gli appartenenti al sodalizio, durante la settimana in sede e la domenica allo stadio. Attività sociali e manuali, talvolta anche ludiche e sportive, che tengono occupati i Boys tutto l'anno, offrendo una vera alternativa di vita. Le attività del gruppo permettono ai ragazzi di esprimersi, dimostrando spesso capacità inusitate, di relazionarsi tra loro, di collaborare insieme per un unico fine. I Boys nascono come atto d'amore: verso Parma e il Parma. Per questo il gruppo non si chiude in sé stesso, in quei legami comunque forti e sicuri che lo caratterizzano, ma è aperto verso la città. Vive, dialoga e collabora con essa, senz'essere emarginato e senza volersi ghettizzare. Un rapporto maturo, senza nascondersi nell'ipocrisia, fiero delle proprie peculiarità, consapevole che mille sono le diverse anime che caratterizzano una comunità. E la città ha riconosciuto il ruolo dei suoi figli, conferendo ai Boys, proprio all'inizio di quest'anno, una civica benemerenza, per l'importante funzione sociale ed educativa svolta in trent'anni d'attività.
Eppure il Parlamento italiano, di cui fate parte anche voi, eletti proprio in seno a questa comunità, ha nuovamente colpito gli ultras. Dopo l'omicidio dell'ispettore-capo Filippo Raciti, il 2 febbraio a Catania, lo Stato è tornato a percorre la via della repressione generalizzata. Invece di cercare la verità (in tutta la sua complessità), invece di provare a capire la situazione nella sua specificità (i problemi di Catania non sono necessariamente gli stessi di altre città) si è scelto di dare nuovamente addosso a decine di migliaia di persone completamente estranee ai fatti, colpendo aggregazioni giovanili che, tra le varie cose, svolgono un'importante funzione sociale.
Mentre molti media, politici e potenti del pallone, erano impegnati in un'insana caccia alle streghe, il 4 febbraio 2007 il gruppo ultras dei Boys esponeva il proprio pensiero nell'articolo "Sangue ed ipocrisia". Un articolo franco, senza giri di parole, senza frasi di circostanza; schietto, come lo sono gli ultras. E proprio per questo in esso si riconoscevano anche alcuni gruppi ultras di altre città, che iniziavano a diffonderlo a loro volta, perché in sintonia con il loro pensiero. Riteniamo utile proporvelo di seguito, nella versione integrale.

Sangue ed ipocrisia

Venerdì sera 2 febbraio, a Catania, un agente di Polizia è rimasto ucciso durante gli scontri a margine di Catania-Palermo. La morte di una persona è un fatto irreparabile, che ferisce tutti gli uomini di cuore e di buonsenso. Ma gli uomini di buonsenso non sopportano l'ipocrisia, che puzza più della morte.
Il dolore è di chi piange il proprio caro, agli altri spetta un rispettoso silenzio. Ma certe persone non si fermano neppure dinnanzi al più nefasto degli accadimenti. E parlano, parlano, per cercare di trarre qualche vantaggio da una tragedia. Anche questo è un crimine (per lo meno morale), si chiama: sciacallaggio.
Parla l'ex ministro Pisanu. Parla di giustizia, lui, che chiedeva aiuti fraudolenti a Moggi. E parla di privatizzare gli stadi, perché è un affare di miliardi. Grazie ai suoi decreti, si può ora dotarli di qualsiasi struttura commerciale.
Parlano il presidente del consiglio e il ministro dello sport. Parlano di decisioni drastiche contro un crimine, loro, gli artefici dell'indulto, quelli che garantiscono impunità ai terroristi sfuggiti alla legge.
Parla il ministro della giustizia. Definisce gli ultras (milioni di persone totalmente estranee ai fatti) un cancro e dice di voler salvare il calcio. Vuole salvare il calcio, lui, un ex Dc, ex ministro della destra e attuale ministro della sinistra, fautore dell'indulto e strenuo difensore dei corrotti di calciopoli (che voleva tutti amnistiati).
Parla il presidente del Catania. Parla di ricatti, lui, che aveva "minacciato" di non presentare la squadra se lo Stato non avesse acconsentito a far svolgere Catania-Palermo alle 18 di venerdì (così com'è stato).
Parlano i giornalisti, quelli che hanno coperto calciopoli 2006 e tutte le nefandezze operate per insabbiarlo; quelli rimasti in silenzio quando Paolo di Brescia veniva spedito in coma, o quando veniva ucciso Federico Aldrovandi, o quando un tifoso del Napoli finiva in coma per un lacrimogeno sparato ad altezza uomo.
Filippo Raciti, ispettore capo di 38 anni con una moglie e due figli, non doveva essere ucciso; così come non doveva esserlo Federico, un ragazzo di soli 18 anni. Entrambi meritano giustizia; tutti la meritano. Ma la giustizia, per essere giusta, deve fondarsi su di una legge uguale per tutti (e non solo in teoria). Chi enfatizza certi fatti e ne omette altri, chi colpisce talune categorie e ne amnistia arbitrariamente altre, non fa giustizia.
Sono state varate tante leggi speciali in merito alla "violenza negli stadi", alcune palesemente anti-costituzionali. Eppure non sono servite, perché erano profondamente sbagliate. Hanno colpito ingiustamente ultras e tifosi, hanno criminalizzato chi affronta a mani nude un altro uomo, con coraggio e lealtà, secondo un preciso codice d'onore. Ed ecco, è rimasta proprio la violenza, quella che va oltre il pugno e arriva alla tragedia. Telecamere e biglietti nominali possono aver spostato il problema fuori dai cancelli, ma niente di più. Una cultura non si cambia spiando le persone.
Ogni giorno si commettono omicidi, stragi e stupri in tutto il Paese. In Sicilia (la regione di Catania) si verifica in media più di un omicidio alla settimana. Ma lo stadio è uno dei posti più sicuri del Paese. Possono esserci alcune scazzottate tra giovani ma i fatti di sangue sono estremamente rari. In Italia si viene uccisi prevalentemente in famiglia (al primo posto), oppure dalla mafia o dalla criminalità comune; questo dicono le statistiche. Dicono che il nucleo alla base della nostra società, la famiglia, ha gli elementi sempre più instabili e in conflitto (si uccidono), e che le organizzazioni criminali dettano la loro legge in buona parte del Paese. Quisquiglie? Per questo Stato sembra di sì, perché le leggi speciali le adotta solo contro ultras e tifosi.
Domenica 28 gennaio a Luzzi (Calabria), il dirigente di una società calcistica è rimasto ucciso a causa delle percosse subite in una rissa, scoppiata al termine di Cancellese-Sammartinese di Terza Categoria. Due giocatori sono stati indagati per tale omicidio. Ma non saranno varate leggi speciali per i calciatori.
Noi chiediamo giustizia e verità, per tutti. Giustizia e verità anche per Filippo Raciti. Chiediamo che chi ha sbagliato paghi (sempre) e comunque (senza privilegi per nessuno). Chiediamo siano accertate le responsabilità di tutti. Di chi ha ucciso, innanzitutto. Ma anche di ha gestito l'ordine pubblico, di chi ha fatto svolgere una partita a rischio alle 18, di chi ha fatto perdere metà partita ai palermitani (strategia del sopruso che serve solo a surriscaldare gli animi).
Volere la verità in un Paese abituato alla menzogna è un desiderio rivoluzionario. Volere la verità, qualunque essa sia, è un desiderio inusitato. Anche per questo siamo ultras.

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Nessun dialogo, nessuna voglia di capirsi, come accade da quarant'anni quando si parla di "ultras", il Parlamento ha scelto di continuare sulla via della repressione generalizzata.
Ci raccontano spesso della necessità di fare leggi ascoltando i corpi sociali. Ma nessuno ha ascoltato gli ultras. E intanto: un decreto legge è stato varato a tempo di record. Un decreto legge che inasprisce tutte le pene, che permette di punire anche chi è solo indiziato, che cerca di isolare gli ultras impedendone la funzione sociale che gli è propria. Un decreto che, all'esame del Senato, ha ottenuto 246 sì, 5 astenuti e nessun voto contrario. Ma il Parlamento si esprime su cose che non conosce. Perché sono veramente pochi i politici che hanno cercato di conoscere gli ultras. E questo è un male, per noi ultras, per i tanti giovani che frequentano i gruppi, per tutto il Paese.
Se domani tutti i gruppi ultras d'Italia si sciogliessero, dove andrebbero le decine di migliaia di persone che oggi trovano una ragione di vita in essi?
Dopo i fatti di Catania il Governo ha chiuso stadi e settori d'impianti (tutti luoghi pubblici), sospendendo le proroghe di cui beneficiavano molte società, che non si erano adeguate a quanto previsto dal Decreto Pisanu, applicato immediatamente solo nei punti che riguardavano gli ultras. Sì è arrivati addirittura a tener chiusi stadi e settori d'impianti solo perché sprovvisti di tornelli, macchinari che hanno il solo compito di registrare gli ingressi, un lavoro che può essere svolto anche manualmente con il sistema dei biglietti matrice/figlia. Viceversa, le partita in notturna, molto più difficili da gestire dal punto di vista dell'ordine pubblico, sono ripartite immediatamente, perché ad esse sono legati i soldi dei diritti televisivi, così cari alla Figc e alla Lega Calcio, la confindustria del pallone.
L'Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive, ancor più recentemente, ha chiesto che negli stadi non siano ammessi tamburi, megafoni, sirene, striscioni e bandiere se non preventivamente autorizzati. Un provvedimento che non serve certo a combattere la violenza ma, soltanto, ad impedire la libertà d'espressione di ultras e tifosi allo stadio (che è, ricordiamocelo, un luogo pubblico), non particolarmente gradita alle società calcistiche e ai loro presidenti, così desiderosi di mettere il bavaglio a chi potrebbe contestarli. Qui non si parla di interdire l'ingresso ad armi improprie o a striscioni dal contenuto violento (a cui l'ingresso è vietato da sempre) ma di censurare dei corpi sociali. Tale "Osservatorio" è composto in larga parte da appartenenti alle forze dell'ordine. Seppur non si tratti di persone elette a suffragio universale, espressione della maggioranza politica di un Paese che si definisce "democratico"; sono autorizzate a stabilire le linee guida per migliaia di cittadini italiani. Linee guida che, lo dimostrano i fatti, vanno ad interessare la libertà di movimento e d'espressione; addirittura: i diritti civili del popolo italiano. Una situazione assai preoccupante, che auspichiamo riterrete opportuno contrastare in ogni modo.

A voi, parlamentari eletti in seno alla nostra comunità e rappresentati della medesima, affidiamo queste nostre parole, nella speranza che le teniate in debito conto durante la vostra attività.

Distinti saluti,
BOYS PARMA 1977

BOYS PARMA 1977

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