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Enrico Brizzi: curva, ultras e aggregazione

17 - 10 - 2008

L'articolo che segue, a cura di Roberto Stracca, dal titolo "Brizzi: «In curva c'è di tutto, anche il tuo vicino»", è stato tratto dal Corriere della Sera del 16 ottobre 2008.

Brizzi: «In curva c'è di tutto, anche il tuo vicino»
Se gli ultrà sono tutti brutti, sporchi e cattivi vuol dire che la società italiana fa schifo. Perché in curva c'è mio cugino e quello di chi li critica senza conoscere

MILANO — «Gli ultrà tutti brutti, sporchi e cattivi? Allora vuol dire che è la società italiana che fa schifo. Perché in curva non ci sono mostri senza volto giunti da un passato remoto, ma mio cugino, il vostro e quello di chi li critica».
Enrico Brizzi, come il suo Jack Frusciante del romanzo rivelazione, esce dal gruppo. E non si unisce al coro del «dagli all'ultrà». Perché il trentaquattrenne scrittore di «Bastogne» e «L'inattesa piega degli eventi» nella curva «Andrea Costa » di Bologna, c'è cresciuto. «Ma, da quando la Melandri ha messo i tornelli, non ci vado più. Non mi piace essere ripreso da cento telecamere come fossi al "Grande Fratello": mi hanno tolto la fantasia». E di «quello spaccato della nostra società » ha anche scritto, ma mai divulgato: «È ancora un tabù: sarei subito lapidato. Non c'è ancora una saldatura tra chi compra i libri indirizzato dai mezzi di comunicazione e l'anima popolare delle curve ». E quell'anima, «contraddittoria ma affascinante», Brizzi prova spiegarla.
«Le curve italiane non sono come quelle inglesi degli anni 70, dove c'erano tutti minatori. Nelle gradinate italiane ci trovi il giovane notaio, l'impiego di banca, l'operaio e il disoccupato. È l'unico posto dove c'è unione a prescindere dalla posizione sociale. C'è allegria e paura. Che piaccia o no, le curve sono l'ultimo grande luogo di aggregazione giovanile».
Un'aggregazione, secondo qualcuno, con una precisa matrice politica. Quella dell'estrema destra. «Premesso che ci sono delle differenze da curva a curva. E che quando vedo certi simboli, mi sento male. Ma in curva ci sono sempre stati. Negli anni 80, nella "rossa" Bologna, c'era l'adesivo di Snoopy con il casco e la croce celtica. Dagli anni 70 a oggi non c'è stata stagione calcistica in cui non si sono visti. Perché ci si indigna solo adesso? Forse mi sbaglio, ma non credo a una cupola di destra dietro il movimento ultrà. E, fossi nelle istituzioni, mi preoccuperei più di un altro problema».
Quale, scusi? «L'infiltrazione della criminalità comune: ci sono curve di piccoli centri dove alcuni presidenti hanno mandato dei criminali per cacciare i ragazzi che magari li contestavano. In altre curve c'è l'infiltrazione della 'ndrangheta, nelle curve delle metropoli c'è anche chi ha preso dei colpi di pistola».
«La ricchezza e al tempo stesso il limite della curva — spiega, ancora, Brizzi — è il suo essere un arcipelago contradditorio. Andrebbe studiata senza pregiudizi, ma nei salotti televisivi è più facile descrivere gli ultrà come bestie pericolose ». E, invece, chi sono? «La parte più irrequieta, tradizionalista e passionale dei ragazzi italiani. E, credo, che stiano un po' sulle balle a molti». Per quale motivo? «Perché gli ultrà vogliono andare nel posto dove c'è la partita e non si accontentano di guardarla in tv».

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