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Intervista al legale della famiglia Raciti

20 - 10 - 2007

Dopo la morte di un agente di Polizia i politici hanno confezionato a tempo di record leggi anti-ultras e norme anti-tifo. Lo Stato ha messo sotto chiave un ragazzo.
Ma chi uccise veramente l'ispettore capo Filippo Raciti? Ma di chi sono le responsabilità per ciò che accadde allo Stadio Massimino il 2 febbraio 2007?
Il "Nerazzurro" di Bergamo ha voluto conoscere l'opinione del legale della famiglia Raciti. Il quale, al di là dei suoi doveri professionali e di alcune sue considerazioni personali, ha presentato una situazione estremamente complessa e nebulosa; molto diversa da quella che le istituzioni e tanti mezzi d'informazione hanno raccontato alla pubblica opinione.
L'intervista che segue, a cura di Giorgio Lazzari, è tratta dal "Nerazzurro" di Bergamo.

L’autunno del calcio

Catania-Palermo: una partita che ha segnato, ahimè, un punto di non ritorno del calcio italiano. Sì, perché quando si sacrifica una vita per un gioco, a perdere sono proprio tutti: politici, tifosi, calciatori, addetti ai lavori e dirigenti. Abbiamo rivissuto la tragedia con l'avvocato Enrico Trantino, legale della famiglia Raciti, che quella tragica sera di febbraio era allo stadio e ha potuto vedere con i propri occhi una città irriconoscibile, sfigurata dall'odio e dalla violenza. E durante la prima partita casalinga di questo campionato contro il Genoa, la maggior parte dei presenti, più che la partita, ha richiamato nella propria mente le immagini di sette mesi prima.

Da semplice cittadino cosa è successo secondo lei la sera di Catania-Palermo?
"Tutto fuorché un evento inaspettato. Da quando il calcio è diventato strumento per sfogare istinti repressi, teppisti e criminali con finte vesti di tifosi che hanno cominciato a frequentare lo stadio in attesa degli scontri con sostenitori avversari o con le Forze dell'Ordine. L'esercizio della violenza per l'affermazione del più forte, in tutta Italia ha prevalso sulla sana rivalità. Su questo scenario, delinquenti comuni, indifferenti alla partita, alla squadra, alla sorte di una città che stava vivendo un momento di ribalta internazionale (quarti in campionato), sono venuti al Massimino nella speranza della "battaglia", fosse essa con poliziotti o con i supporter palermitani. L'inesistenza di zone di prefiltraggio, di adeguati controlli ai cancelli, la calca agli ingressi, ha permesso un indiscriminato accesso alla curva Nord di ragazzini (quel che sconcerta dalla visione dei filmati degli scontri di quella sera è la preponderante presenza di adolescenti assetati di violenza), in attesa del momento propizio.
L'arrivo dei tifosi ospiti a inizio secondo tempo, lanci di lacrimogeni su bersagli inoffensivi, la mancanza di coordinamento tra Carabinieri e Polizia, ha ulteriormente esasperato gli animi, creando le condizioni per un cruento conflitto. Mi trovavo al Massimino quella sera e uscendo dallo stadio dopo la seconda sospensione dell'incontro, mi sono affacciato su una città irriconoscibile: da un lato la drammatica angoscia nei volti degli agenti di Polizia (il cui grado di preparazione nel fronteggiare queste situazioni è ben noto a tutti); dall'altro la rabbia incontenibile, anche di donne e gente perbene, vittime di manganellate gratuitamente inferte in un tumulto in cui non si potevano più distinguere i buoni dai cattivi. Ritengo che Filippo Raciti sia morto per la sua abnegazione al lavoro. Se al momento in cui rimase vittima dello scontro letale, avesse provveduto a farsi curare immediatamente, oggi, quasi sicuramente, sarebbe ancora vivo, e quel 2 febbraio sarebbe passato alla storia come un'ennesima dimostrazione del delirio che affligge la gioventù italiana. Tutt'oggi non so, per quel cui ho assistito, se dolermi per questo o consolarmi per la mancanza di altre vittime".

Cosa non ha funzionato nella gestione dell'ordine pubblico: intelligence, orario della partita, schieramento della polizia o cos'altro?
"Quel che non ha mai funzionato: nessuno ha preteso l'adeguamento del Massimino al Decreto Pisanu; nessuno ha mai istruito a dovere le Forze dell'Ordine a reagire professionalmente in casi analoghi; nessuno si è posto il problema, se piuttosto che diffidare indiscriminatamente tanti capi ultrà, non fosse meglio contrattare con loro per garantire il rispetto delle regole di pacifica convivenza all'interno dello stadio. Quel giorno ha regnato l'improvvisazione; probabilmente sarebbe bastato fare entrare i supporter palermitani prima della partita per controllare più efficacemente l'ordine pubblico. Di sicuro, però, a nessuno è interessato cosa fosse accaduto, considerato che mai nessuna inchiesta mi risulta essere stata avviata su eventuali responsabilità istituzionali".

Nella ricostruzione dei tragici fatti, i Ris in un primo momento avevamo scagionato dall'accusa più grave il giovane ultras trattenuto nel carcere di Catania. E la difesa dell'ultras ha parlato più volte di fuoco amico... come si spiega la tragedia?
"Ci sono indagini in corso che stanno attentamente vagliando tutti gli elementi raccolti su quella tragica morte. Il problema principale risiede nel fatto che le telecamere posizionate allo stadio hanno ripreso, da un lato la carica della Polizia, e dall'altro quella degli ultras. Lo scontro, però, tra l'ispettore Raciti e l'attuale indagato è avvenuto in una zona d'ombra non coperta dalle riprese visive, sicché non è documentato se il sottolavello, sicuramente brandito dal ragazzo, abbia colpito o meno l'ispettore Raciti. La ricostruzione si basa quindi sulla compatibilità delle lesioni riscontrate con le caratteristiche morfologiche della presunta arma. I Ris, con una perizia più orientata a mettere in dubbio i risultati investigativi raggiunti dalla Polizia, che a fornire una possibile verità processuale, si sono espressi, non scagionando del tutto il ragazzo, ma stabilendo un giudizio più orientato sull'incompatibilità che sulla compatibilità del sottolavello a provocare quelle lesioni. Di contro, i consulenti del P.M. hanno sovvertito quelle valutazioni, fornendo seri supporti scientifici per avvalorare la tesi accusatoria. È una battaglia processuale ancora aperta. Per quel che ci riguarda, anche noi stiamo approfondendo con nostri tecnici certe verifiche; ma, ovviamente, non posso anticipare nulla".

Come stanno vivendo la vedova e i figli questo momento processuale?
"Con la rassegnata compostezza di chi sa che nessuno potrà mai restituirgli un marito e un padre, ucciso mentre cercava di difendere l'altrui libertà; ma con la speranza che si possa conoscere la verità su quel 2 febbraio".

Avete più volte ribadito che si chiede giustizia e non vendetta... quindi qual è il vostro obiettivo?
"Che si trovi il colpevole. Non un colpevole qualunque. Di certo non ci interessano capri espiatori, ma solo che venga accertato, oltre ogni ragionevole dubbio, come è morto Filippo Raciti e chi l'ha ucciso".

Si tornerà alla normalità un giorno al Massimino?
"Ne sono certo. Mi aspetto un'orgogliosa reazione dei tifosi (quelli veri) ad ogni becero coro che in qualche modo istighi all'odio o alla violenza. Stavamo vivendo un sogno, prima che giovani delinquenti costringessero la città di Catania a essere mortificata in tutto il mondo. Purtroppo la mamma dei cretini è sempre incinta; non potremo quindi sperare che quelli presenti allo stadio, non per vedere la partita, ma per cercare scontri con tifosi avversari o forze dell'ordine, improvvisamente rinsaviscano e la smettano di sfogare le loro frustrazioni, mettendo a repentaglio il divertimento di tante famiglie che vorrebbero frequentare il Massimino".

Cosa rimane a Catania, nella coscienza collettiva, di quei tragici fatti?
"Tanto dolore e tanta voglia di riscatto; ma anche l'incancellabile ricordo di quel corteo di sirene, di donne e bambini in lacrime, di una città in quei giorni illuminata per la festa di Sant'Agata, in cui i sorrisi e gli schiamazzi di ogni anno lasciarono il passo a un'atmosfera spettrale. Gran parte dei presenti al Massimino il 2 febbraio, ritornati allo stadio per la prima casalinga contro il Genoa, più che la partita, hanno rivisto nella propria mente immagini di sette mesi prima. Nulla è successo a Catania che non sarebbe potuto accadere in un qualsiasi stadio. Ma non deve accadere mai più".

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