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I nostri dirigenti sconvolti dalla tv

Articolo tratto da "Stadio" del 02-09-2006

06 - 09 - 2006

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Buon fine settimana, buon anno calcistico che comincia tra sette giorni con una Serie B folgorante ed entra nel vivo per la lotta dello scudetto domenica prossima con una Serie A di innegabile impronta milanese. In questi giorni di ansiosa attesa, esasperata dalle paurose "gaffes" e dai saggi ripensamenti dei dirigenti juventini, mi ha colpito l'enorme pubblicità che Sky ha dedicato all'evento, suggerendo agli attuali e potenziali abbonati di "non smettere di sognare" e garantendo che "il nostro calcio è ancora il più bello". Per carità, sono figlio di un pubblicitario e conosco bene il valore decisivo che la "reclame" (come la chiamavano tanto tempo fa) può avere per l'affermazione di un prodotto, ma l'annuncio di Sky mi ha suggerito un discorso un po' meno disinvolto e squillante. Voglio ricordare anzitutto, che alla radice del devastante scandalo che ha sconvolto l'estate di decine di milioni di italiani sta proprio l'avvento della tv satellitare, così brillantemente rappresentata da Sky non solo in Italia ma in mezzo pianeta. I dirigenti del nostro calcio hanno perduto la testa di fronte al fiume di denaro derivato dalla cessione dei diritti televisivi, quelli di club scardinando dissennatamente la logica di una buona gestione sociale; quelli di Federazione e di Lega trascurando irresponsabilmente di aggiornare le regole sportive alle nuove, travolgenti realtà economico-finanziarie. L'ultima resa alla prepotenza mediatica della tv, preparata del resto da un accordo di qualche tempo fa, l'hanno sottoscritta i club di Serie B accettando, sotto la guida di Matarrese, di continuare ad anticipare al sabato (salvo rare eccezioni) le partite del torneo cadetto, che quest'anno in realtà avrebbe meritato ben altra sistemazione, e non solo per la presenza della Juventus e del Napoli. Naturalmente, anche per via di quel tale accordo, la decisione era inevitabile, ma questo non può significare che si debba tornare sulla vecchia strada, ripetere i vecchi e disastrosi errori.
In primo luogo, i diritti televisivi non posso abbagliare i dirigenti di club fino a suggerire una gestione demenziale del bilancio, e Federazione e Lega non possono esimersi dal condurre severi e periodici controlli in materia. Le emittenti tv devono convincersi a loro volta che è indispensabile conciliare le legittime pretese con le esigenze fondamentali dello spettacolo sportivo: l'accessibilità del pubblico, il rispetto delle pari opportunità per ogni squadra, la rinuncia a ogni forzatura nella critica e nel pettegolezzo, soprattutto, una programmazione delle trasmissioni e dei calendari che non si risolva in uno "stress" stagionale insostenibile per qualsiasi atleta.
Gli enti federali, ovviamente, devono osservare una seria riflessione ed un ampio dibattito alla elaborazione di nuove regole, che tengano conto della realtà ed anche dei rapporti con la giustizia ordinaria e con la autorità politiche, ma senza cieca subordinazione. Istituti come la quotazione in borsa di taluni club e la clausola compromissoria vanno ridiscussi pacatamente, così come sarebbe consigliabile ragionare con le varie associazioni (calciatori, allenatori, arbitri, procuratori) su problemi come le clausole della stipula o della revoca del contratto, le dimensioni della "rosa" dei titolari, le aliquote da immettere in prima squadra di elementi del vivaio, la repressione del doping.
Ma per farlo, non può bastare la gestione commissariale, occorre integrarla o sostituirla al più presto, con dirigenti vecchi e nuovi esperti del settore, purché estranei al poco edificante "sistema" appena smascherato.

Antonio Ghirelli

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