"Noi siamo i Boys Parma 1977": intervista agli ultras gialloblù (Parte 2) Stampa
Vita di Curva - 2018 / 2019
Venerdì 03 Agosto 2018 14:49

Pubblichiamo qui di seguito l'intervista fatta da Sport People al nostro Gruppo.

 

 

Veniamo a rapporti di più stretta valenza ultras partendo da amici e gemellati: ultimamente si tende ad usare più il primo aggettivo, sembra quasi che ci sia paura a legarsi, voi invece portate avanti rapporti storici e molto sentiti che sembrano non risentire dell’usura del tempo. Altri invece sono senza dubbio stati modificati, in un modo o nell’altro da tutti questi anni.

Abbiamo anche alcune amicizie nuove, molto fresche come Catania e Vienna. Ma in quei casi conta molto la conformazione delle curve. Siamo nati in un periodo storico quando il modello in tutte le curve era il CUCS, poi nei ’90 iniziarono a nascere le “opposte fazioni” del caso e le curve s’andarono sempre più disgregando. Anche se gli “Ultras Tito” oggi sono un gruppo a parte, hanno rappresentato per anni tutta la Sud. Quindi di conseguenza si può parlare di gemellaggio vero in questo caso. Allo stesso modo con gli empolesi è un gemellaggio, è una cosa totale, senza fratture di sorta. È una cosa che è rimasta immutata nel tempo, anche perché le curve son sempre rimaste quelle, non sono cambiate.

A Catania invece siamo amici di un singolo gruppo in una tifoseria divisa in più settori. Anche Vienna è così, considerando che gli Ultras hanno con Venezia il loro gemellaggio più sentito, anche se il “Gate 22” non c’è più. Il gruppo principale di Vienna sono gli “Ultras” per cui anche questa nostra amicizia coi ragazzi dei “Tornados” ha i suoi equilibri particolari e resta un’amicizia limitata ai singoli gruppi.

Fra gli altri, abbiamo per esempio conosciuto la “Banda Noantri” della Lazio: erano poche persone e quindi il rapporto con loro ovviamente più stretto. Adesso in curva ci sono gli “Irriducibili”, permane certo una forma di rispetto, ma si ferma lì. Anche se quando siamo andati a Roma, tutto lo stadio ci ha fatto il coro per il Bagna, sembrava come se ci fosse un gemellaggio, forse anche perché “Banda” ha avuto un suo peso nella loro storia.

In ugual misura, se becchiamo certi gruppi come quelli conosciuti al torneo di Emiliano a Empoli o in giro alle riunioni ultras (tanto per dire dei nomi, i cavesi, i perugini, i fasanesi o i montevarchini), di sicuro ci beviamo una birra insieme, scambiamo opinioni ed esperienze in base agli interessi comuni, ma non per questo c’è bisogno di fare il gemellaggio.

Ci sono poi rapporti come quello con i ragazzi di Bordeaux, che dopo dieci anni in cui non ci siam visti, lo abbiamo riallacciato per caso in una occasione nemmeno di stadio ed è ripartito come se non ci fossimo mai persi di vista, come se ci fossimo sempre conosciuti, anche se il nostro punto di riferimento erano i “Devils”. Lo viviamo come un gemellaggio vero e molto intenso, nonostante il lungo periodo di vuoto. Non a caso quando i “Devils” si sciolsero e i contatti si allentarono, a Parma tutti comunque dicevano: “siamo gemellati con Bordeaux”. È un rapporto fra città, non fra due gruppi: la differenza è che noi ragionavamo da italiani, mentre gli “Ultramarines”, anche se il loro gemellaggio principale è Saint-Etienne, crescendo si sono allargati e di conseguenza si sono allargati inglobando i rapporti come il nostro lasciato in sospeso dopo lo scioglimento dell’altro gruppo. Quando poi ci incontrammo in Coppa Uefa, non a caso il coinvolgimento fu totale e a vivere quella giornata furono tutti, ultras, semplici tifosi, le due città in toto. Proprio come in un vero gemellaggio, esattamente come succede con Samp e Empoli.

Altri vecchi rapporti sono stati invece irrimediabilmente modificati dal passare del tempo. Con Cesena rimane il rispetto con quelli che sono i più vecchi. Son successe diverse cose dopo che s’è rotto il gemellaggio, un paio di volte ci siamo mandati anche affanculo, dopodiché è morto Glauco, uno dei loro storici esponenti, e abbiamo ritenuto doveroso andare al suo funerale: da quella volta, il loro rispetto s’è sicuramente fortificato. In quell’occasione abbiamo rivisto tante persone con cui ci conoscevamo e che non vedevamo da anni, anche se magari la volta prima avevamo anche rischiato di darcele con loro. Determinanti sono gli eventi, determinante è stato il funerale di Glauco, sennò poteva restare al massimo qualche amicizia personale, con un vespaio di fondo che comunque c’era. Altri rapporti sono invece stati totalmente stravolti dal tempo, come quello con lo Spezia con cui eravamo gemellati dal ’77-78, che per anni s’è retto sulla base degli odi comuni contro la Carrarese e la Reggiana o come quello con i Veronesi, perso nei vari ricambi generazionali delle due curve.

Parlando al contrario di rivali, da quelli di campanile come Reggio Emilia ad altre rivalità sportive nate negli anni della A come quella con gli juventini, qual è la gerarchia dell’odio? Quali le rivalità tornate in auge e quelle ormai smorzate dal tempo?

Ci sono rivalità puramente territoriali che vivono momenti di forte contrapposizione ma vanno scemando in mancanza di incontri. Anche con la Cremonese era scemata, ma se cerchi un motivo per rinfocolarla è chiaro che lo trovi.

La componente tempo è essenziale: in vent’anni di Serie A persino l’odio con la Reggiana è passato in secondo piano rispetto magari ai modenesi con cui avevi più occasioni di confrontarti. Poi in Serie A avevi la trasferta ad Amsterdam giovedì e la domenica andavi a Reggio per il derby, avevi la Roma, avevi i Gobbi, inevitabilmente il derby un po’ di contenuto lo perdeva.

Ma la rivalità è legata in maniera imprescindibile a cicli generazionali e prima o poi ritorna. La ripartenza dalle categorie inferiori per esempio, oltre a incrociare tante tifoserie di spessore, ha permesso di rinverdire proprio il derby con la Reggiana: i più giovani del gruppo hanno dovuto attendere vent’anni per capire, solo lo scorso anno, cosa fosse il derby, quando per una settimana prima e una settimana dopo la partita non si riusciva a dormire per l’adrenalina o per i preparativi in atto.

Fra tutte queste rivalità, ci sono anche quelle che a causa di una certa ambiguità di fondo, sono diventate tali paradossalmente partendo da un’amicizia. Di tutti i quattro gemellaggi ci siamo fatti ugualmente carico quando siamo subentrati con le ultime generazioni di “Boys”, a partire da quello con i “Devils” che era il nostro gemellaggio per antonomasia, a quello con i doriani che, nato nel ’90, aveva in sé l’entusiasmo della freschezza. Poi c’erano quelli con Empoli e Spezia che abbiamo ereditato dal passato e onorato anche se ci si conosceva poco e niente. E le cose non sono andate esattamente alla stessa maniera, infatti a differenza di Empoli, con Spezia ci siamo trovati più volte in difficoltà. Bella tifoseria la loro, una di quelle davvero dure, ma spesso ci siamo sentiti a disagio con loro, costretti a trovare un equilibrio in una situazione di curva molto particolare e le cose poi con il tempo, sono definitivamente e inevitabilmente degenerate a causa delle varie incomprensioni venutesi a creare.

Per stabilire una gerarchia dei rivali dei “Boys Parma” infine, oltre le già citate Reggio Emilia, Modena, Juve, bisogna aggiungere anche Bologna e Palermo. Padova e Cremona sono risalite alla ribalta ultimamente, alla luce degli ultimi episodi che ci hanno visti contrapposti. Poi ci sarebbero anche gli spallini con cui la rivalità era molto sentita, ma è da un bel po’ che non si ha occasione di incrociarci. Vale sempre lo stesso discorso: se non le vivi è come se non le avessi, ma poi basta sempre e solo una scintilla per infiammare di nuovo la disputa.

Rivalità vuol dire spesso scontro: ce ne sono stati alcuni in cui, nel vostro piccolo, vi siete difesi molto bene, altri in cui ne siete usciti peggio. Alcuni sono diventati addirittura parte della vostra “epica”, di quei classici racconti da tramandare di generazione in generazione. Dal passato ad oggi, nel processo formativo della vostra identità e della vostra storia, quanto sono state importanti le vittorie e quanto avete imparato dalle sconfitte? Com’è possibile conservare il lato più “stradaiolo”, assecondare l’inclinazione dei più giovani all’azione senza smettere di essere punto di riferimento istituzionale, per tutta la comunità, compreso il tifoso medio?

Emblematici furono quelli di Praga nel 1993. Un sacco di scontri in cui i nostri dirimpettai erano interessanti solo a prendere i soldi, gli zaini, rubare roba. Non gliene fregava un cazzo dello striscione o di discorsi ultras. Tornati a Parma abbiamo trovato la stampa che ci attaccava pesantemente perché ragazzi riconoscibilissimi del gruppo, in Eurovisione, lanciavano torce e si difendevano come potevano da quella che, nei fatti, era una vera e propria aggressione quasi più criminale che ultras. La nostra era una legittima difesa eppure per questo ci hanno attaccato fortemente, giornali, opinione pubblica, tutti. La domenica successiva, esponemmo lo striscione “Senza parole”, optando per uno sciopero del tifo, mentre sullo sfondo aleggiava pesantemente l’ipotesi di uno scioglimento, a cui abbiamo pensato seriamente in quel periodo. Volevamo sciogliere anche per non dare più punti di riferimento o prenderci responsabilità che evidentemente non erano nostre. Facemmo due trasferte praticamente da sciolti: Milano, con appuntamento in stazione col passaparola, ci ritrovammo in 150; Ancona, stessa prassi, in stazione ci siamo ritrovati però in 3, dopo di che abbiam deciso di tornare ai vecchi metodi, abbandonando subito questo veloce ed infelice esperimento di organizzazione informale, alla “veronese”, che come detto erano fra i nostri modelli di riferimento.

L’equilibrio fra le due anime, quella folkloristica e quella d’azione, lo si raggiunge nelle situazioni, per assurdo soprattutto quando prendi delle “scottature”, dopo le quali o ti svegli o ci rinunci. È un fatto di autocritica, consapevolezza, umiltà: non mitomania. Più che rifuggire l’esaltazione vanagloriosa della vittoria, bisognerebbe soprattutto smettere di denigrare tutto quello che fanno gli altri e pensare a quello che fai tu. Dopo i famosi e già citati fatti di Fanano, tra noi e i modenesi è rimasta una sorta di rispetto di fondo proprio perché tutto è rimasto sul campo, fra noi, senza la girandola di stupidi striscioni o improbabili accuse incrociate come in certi altri casi. Ma alla fine, cosa c’è da vantarsi? Siamo ultras, siamo in strada, lo sappiamo noi e chi c’è in strada quello che è successo. Che lo debba venire a sapere, tanto per fare un esempio, uno di Brindisi, a che serve? Forse, come diceva qualcuno, ripetere cento volte una bugia la fa diventare una verità, sarà per questo che c’è chi se la suona e se la canta, però poi tutto si ferma lì, alle parole vuote.

Nel bene o nel male comunque, dal confronto con i nemici esattamente come quello con gli amici, si riesce anche a far tesoro di insegnamenti importanti: i “vichinghi” (“Viking Juve”, nda), ci hanno insegnato ad esserci. Negli anni fra il ’90 e il ’96 si sono sempre fatti vedere in strada. Il secondo anno in Coppa Italia addirittura, ci hanno detto che sarebbero venuti alle 5:30 al nostro bar e lo hanno fatto. In una maggioranza schiacciante che è stata una severa lezione per noi, in chiave futura.
Stessa cosa i Modenesi, da loro abbiamo imparato il presidio del territorio, a farci trovare, a rispondere come gruppo anche fuori dallo stadio e non solo all’interno. Qualsiasi situazione in cui li incrociavamo, con i pistoiesi, con i veneziani, loro c’erano sempre, si facevano sempre vedere.

Valerio Marchi definiva le curve come una “Riserva Maschio Violento”, un luogo in cui il confronto con gli avversari avviene anche attraverso una violenza talvolta simbolica e talvolta meno. In tale scenario storicamente c’è stato sempre poco spazio per la presenza femminile che invece nella vostra realtà ha una rappresentanza importante. Come vedete il ruolo delle donne allo stadio?

È un’altra di quelle cose che abbiamo imparato in giro, a Bordeaux nello specifico: nei “Devils” c’erano donne e uomini, da noi solo uomini e con il tempo l’abbiamo mutuata come scelta. Avere le donne per tantissime cose è un vantaggio: alcune ragazze le reputiamo “Boys” a tutti gli effetti, poi è chiaro, sta all’intelligenza del gruppo perché magari ci sono anche casi in cui le ragazze possono rappresentare la rottura di determinati equilibri interni.
Sul campo poi, per quanto le donne possano apparire più vulnerabili, ci sono state occasioni in cui ci sono state più che utili, come per esempio quando noi eravamo presi dal “furore agonistico” e loro prendevano i pullmini e ci portavano via prima che sopraggiungessero spiacevoli terzi incomodi. Ci sono dei compiti che loro possono far benissimo. Da un punto di vista di gestione e logistica sono una risorsa. Come in tutto, ci sono aspetti positivi e negativi: bisogna sempre e solo stare attenti a bilanciare le cose.

Parlando di politica, mentre quella propriamente detta appare in forte declino sugli spalti, sopravvive da voi quella intesa nel senso nobile del termine, cioè di impegno a difesa del proprio spazio vitale.

Quella noi la chiamiamo politica ultras. È resistenza ultras, non nell’accezione che certe fazioni hanno dato a questo vocabolo, ma nel senso di lotta strenua affinché gli ultras possano continuare ad esistere. Poi chiaramente, prima i giovani sulle maglie portavano Che Guevara e celtiche ora ci sono “Fred Perry” e “Stone Island”, quindi gli ideali son calati, politica ce n’è meno, per forza di cose. Anche se poi alla gente piace sempre mettere etichette, come quando c’era il Bagna e tutti ci davano dei comunisti perché lui frequentava i centri sociali, anche se poi c’erano altri membri del gruppo di tutt’altre idee. Molti guardano comportamenti singoli e sulla base di questi, traggono delle conclusioni a dir poco affrettate: in quel periodo storico in cui ci tacciavano di essere comunisti per esempio, chiunque avesse provato a venire in curva e formare un altro gruppo, avrebbe saggiato la nostra parte più intollerante e meno socializzante.

Fra tutte queste battaglie, si ha spesso la sensazione di una contrapposizione puramente ideologica ma poco pratica. Voi, come tanti, vi siete schierati da subito e apertamente contro la tessera del tifoso, per poi fare un passo indietro. Come vedete e avete vissuto questo cortocircuito? Come giudicate invece la recente eliminazione della tessera propugnata dal Protocollo del 4 agosto scorso?

Noi le lotte le abbiamo sempre continuate a fare. Il Protocollo è venuto fuori anche perché la gente ha continuato a trovarsi e confrontarsi in giro, ha portato le proprie istanze fino in Parlamento. I più duri e puri ci hanno rimproverato di essere tornati allo stadio e in trasferta con delle regole ancora ambigue: tanto di capello a chi è sempre stato coerente fino all’estremo, però purtroppo la coerenza da sola non porta a niente. E se oggi son potuti tornare in trasferta, lo devono anche a noi. Per quanto ci riguarda, la coerenza ci stava portando a morire, per questo abbiamo fatto la tessera. Da un certo punto in poi, oltre gli striscioni, la lotta contro la tessera era diventata una mera lotta per la sopravvivenza: resistenza ultras appunto, ci interessava solo entrare. Dopo essere entrati con ogni tipo di sotterfugio, al terzo anno la Digos ci ha cominciato a bloccare i biglietti in automatico. Il problema più rilevante era che ci trovammo in molti meno e divisi, fra chi continuava a girare e chi restava a casa. Allora si decise di rimettere insieme le teste, di tornare ad essere un gruppo e siam tornati lì, siam tornati con la “Away card” in trasferta e abbiamo rimesso in piedi il gruppo. Era una questione di necessità.

Ma in questo scenario quella di “movimento ultras” è un’esperienza ormai superata o ora più che mai è indispensabile fare rete?

“Movimento ultras” non è certo estemporaneo, c’è sempre, anche se probabilmente non si vede. Per scelta non è stato più allargato: molte curve son cambiate, abbiamo provato di volta in volta a coinvolgere qualcuno, ma senza riuscirci a causa delle tante divisioni interne, per questo siam rimasti quelli di sempre. Magari il lavoro oscuro non si vede, ma dietro ci sono teste che lavorano in continuazione come a Brescia, Bergamo o Genova sponda Samp che valgono senza dubbio di più di decine di tifoserie tenute dentro a forza e che facevano solo numero.

Le iniziative proseguono e anche quelle che poi magari non partecipano ai lavori, talvolta aderiscono nel momento pratico. Abbiamo capito che fare gli striscioni unitari o le manifestazioni serve a poco: bisogna seguire altri canali, per questo abbiamo mosso i “5 Stelle” e siamo arrivati in Parlamento. E questa è stata una vittoria di pochissime teste. Una vittoria su cui non ci si è fermati, puntando ora al ripristino di quelli che sono gli strumenti del tifo, coreografie e tutto quello che è stato vietato.

Ci sono stati momenti in cui noi avevamo già la tessera, ma abbiamo scelto di andare ancora avanti, anche se non ci credevamo quasi più, continuavamo per rispetto dei gemellati e di gente con cui per 15 anni abbiamo fatto battaglie e loro stessi hanno pagato con la galera per questo. Non ci credevamo quasi più e invece improvvisamente l’equilibrio è stato rovesciato.

Curva Nord Matteo Bagnaresi, costante ed eterno il ricordo che dedicate a lui come a tutti i ragazzi che hanno fatto parte del vostro gruppo. Avete un’attenzione molto forte per il culto della memoria, forte al punto da zittire calunnie come quelle seguite alla sua morte ad appannaggio dei valori dell’essere ultras, positivi al punto da travalicare i confini della morte.

In realtà all’inizio anche Matteo è stato pesantemente infamato. “Studio Aperto”, “Studio Sport” hanno fatto a gara a dire che era lì per picchiare, che aveva già avuto una diffida, che aveva minacciato un gruppo musicale di Reggio di non suonare a Parma. Dopo il primo mese le calunnie son scemate e per fortuna sono venute fuori le cose belle di lui. Onestamente grazie soprattutto alla famiglia, che ha fatto un lavoro grosso con la Fondazione in sua memoria, che in città è molto presente e attiva.

Per noi è molto importante tramandare la sua eredità umana e ultras ai ragazzini più giovani che vengono con noi allo stadio. Tutti sanno che, per tradizione, il primo e l’ultimo coro è: “Curva Nord Matteo Bagnaresi”.

Matteo è forse il caso più emblematico perché rappresenta il nostro primo caduto sul campo, ma 40 anni di storia dei “Boys” si sentono tutti con il peso delle assenze, anche per questo è altrettanto importante ricordare chi ha fondato il gruppo e ora non c’è più e tutti i singoli ragazzi scomparsi che, ognuno a proprio modo, magari anche nel piccolo, hanno contribuito a scrivere un pezzo di questa grande esperienza collettiva che è il nostro gruppo. Noi siamo i “Boys Parma 1977” e abbiamo l’obbligo e il dovere di guardare tutti i 40 anni di storia, sennò ci saremmo chiamati “Ultras 2010”, avremmo fatto la bandiera con l’alloro come fan tutti, andando in giro vestiti casual. Ma siamo i “Boys”, striscione dietro al quale si sono riconosciuti centinaia di giovani parmigiani dal 1977 ad oggi…

Intervista raccolta da Matteo Falcone.
Foto di Archivio Boys Parma 1977.

[FONTE: Sport People]