Olimpico, le barriere restano. Come le inesattezze che le hanno erette Stampa
Lunedì 18 Luglio 2016 10:09

Pubblichiamo questo interessante articolo dal sito "Sport People" relativo alle barriere instaurate dalla scorsa stagione nelle curve romane. Basta repressione, ultras liberi!

 

 

Anche se in molti sembrano averlo dimenticato, anche se l’argomento sottace e giace nelle stanzette umide e impolverate del Viminale, Roma rischia seriamente di rivivere un’annata con lo stadio vuoto e silente. Con la seria probabilità che i suoi due sodalizi giochino sempre in trasferta. Se dalla parte biancoceleste del Tevere alle barriere si sommano anche gli ormai annosi screzi con la presidenza, su quella giallorossa sono invece sempre i divisori, con annessa repressione, a generare un totale rifiuto al rientro nei settori popolari. E non solo.

Poco sembra essersi mosso, anche a fronte dell’incontro tra la Roma e il neo prefetto Basilone, che per ora non ha spostato di un centimetro una situazione votata all’uccisione di tutto ciò che il pallone ha rappresentato per il popolo romano. A un mese dal campionato le barriere sono là, così come la nuova conformazione carceraria dello stadio OlimpicoLa Repubblica, da sempre all’avanguardia nel riportare notizie fresche, veritiere e di prima scelta (sic) nella giornata di ieri ci ha deliziato con un nuovo affondo di Fulvio Bianchi, nella sua rubrica Spy Calcio. Il buon Bianchi, riprendendo a grandi linee un suo articolo di un mesetto fa (e già su questo dovremmo porci qualche interrogativo, pur capendo quanto sia difficile scrivere di calcio e di sport nei mesi estivi) rilancia la posizione dell’Osservatorio, e della sua nuova presidentessa Daniela Stradiotto, sulle barriere: non vanno tolte.Anche se l’incontro di qualche giorno fa tra il Prefetto e una delegazione di tifosi laziali, oltre al lavoro sottotraccia che starebbe facendo la Roma fanno credere che, per quanto probabile questa ipotesi, non sia da considerarsi del tutto certa. Appare quanto meno singolare che il presidente dell’Osservatorio, da poco insediatosi,ne sappia già più del Prefetto di Roma. Ma riportando il virgolettato, giornalisticamente dobbiamo prendere per buono quanto scritto da Bianchi.

Ma andiamo con ordine. Il secondo capitoletto di un articolo che evidenzia i cambiamenti della Legge Melandri,esordisce così“Gli stadi stanno tornato lentamente alla normalità, prima di Raciti i nostri impianti erano la vergogna d’Europa”. A parte la contraddizione in termini su come sia possibile che una cosa che sta  “Tornando alla normalità” prima fosse la “Vergogna d’Europa”, viene un po’ da ridere nel leggere l’attacco del pezzo. Innanzitutto, e non ci inoltriamo troppo in vicende giuridiche, al Sig. Bianchi sfugge forse il percorso che il processo sui fatti di Catania ha compiuto, con momenti a dir poco interlocutori e passaggi che, a distanza di nove anni, sembrano tutt’altro che chiari. Del resto fu proprio L’Espresso a evidenziare i primi dubbi sulla linearità dell’accaduto, con le sue inchieste  “Discovery fatale”“Raciti, la pista è blu”, importante anche la successiva inchiesta televisiva di“Servizio Pubblico” per finire con il libro di Simone Nastasi, “Il caso Speziale, storia di un errore giudiziario”. Ipotesi e inchieste che vennero immediatamente, e inspiegabilmente, insabbiate. Il processo ha avuto poi numerosi colpi di scena, con la condanna degli imputati Speziale e Micale, rispettivamente a 8 e 11 anni, e la richiesta di revisione degli atti da parte della difesa. Richiesta negata lo scorso anno. Diniego che a molti è apparso la pietra tombale su un processo, come accade spesso in Italia, preteso e svolto prima dai media e poi da un certo tipo di casta, vogliosa di trovare un colpevole e totalmente disinteressata a scavare per far luce sulla realtà dei fatti.

Tornando a quanto scritto da Bianchi, ci urge anche sottolineare, a suon di numeri, come la “vergogna” di cui parla, producesse negli anni ottanta e novanta quasi sempre il tutto esaurito dalla Terza Categoria alla Serie A, e, fino al 2007, numeri comunque più alti rispetto all’ultimo decennio in cui c’è stata una vera e propria fuga dagli stadi italiani. Vorremo pertanto domandare: a frequentarli erano solo ed esclusivamente “mariuoli” devoti alla delinquenza e alla violenza da stadio? Oppure dal 2000 in poi si sono anche configurate modalità di accesso, di gestione e di regolamentazione delle manifestazioni sportive non congrue all’accogliere i tifosi? Quanto hanno influito le leggi speciali, i biglietti nominativi, i prezzi esorbitanti, i divieti di trasferta su base geografica, l’obbligo di sottoscrivere tessere ministeriali per accedere a un luogo pubblico e una campagna mediatica spesso e volentieri sballata e mendace? Nessuno nega che ci fossero dei problemi, come nessuno può negare che i nostri stadi avessero/abbiano bisogno di un totale restyling, invece si è preferito andare avanti con decreti di urgenzasull’onda emozionale e per accontentare un’opinione pubblica foraggiata dai media di cui sopra. Se si fosse voluto rendere il calcio italiano migliore di ciò che era, si sarebbe dovuto agire con la testa, non con la pancia. Dialogare, rendere gli stadi dei posti accoglienti, non dei lager con gabbie in piena regola e trattamenti spesso non conformi a uno Stato di diritto. L’essere umano somatizza ciò che vive, e come qualsiasi animale, se viene rinchiuso in un ghetto e trattato da bestia, è difficile che migliori la propria condizione mentale e sociale. Ma questo nel Paese dove tutti a voce sono bravi a dare soluzioni, ma pochi a metterle in atto con criterio e capacità, è pressochè impossibile da intendere.

A tal merito è criptico il passaggio in cui si dice: “La Cassazione, ad esempio, ha appena bocciato il Daspo di gruppo: le responsabilità penali infatti sono individuali. C’erano perplessità sin da quando era stato istituito, ora una sentenza lo ha spazzato via e in futuro sarà di difficile applicazione. E qualche dubbio c’è anche sull’obbligo di firma in commissariato che, sempre per la Cassazione, limita “beni primari di rilevanza costituzionale”. Non esageriamo, insomma, con le leggi e le leggine”. Appunto, non esageriamo. Eppure in questi anni proprio giornali comeRepubblica hanno appoggiato e foraggiato questo genere di modus operandi. Senza mai chiedersi quanto costasse alla collettività l’inutile dispendio legiferante dei parlamentari e le forze messe in campo spesso senza un criterio logico. Sebbene la Costituzione da alcuni venga ritenuto un documento vacuo e d’ingombro, ha ancora una sua valenza specifica. E sarebbe ora di smetterla con regolamenti e decreti emanati soltanto per far scalpore e dissetare i legalitari peninsulari.

E ancora, continua il Sommo: “A più riprese il ministro Angelino Alfano, parla del Daspo europeo, di difficile, se non impossibile, applicazione. Anche perché alcune Nazioni non ne vogliono sapere. Meglio lasciar perdere e concentrarsi semmai sulle cose che si possono far”Non capiamo se le altre nazioni, così vagamente descritte dall’estensore dell’articolo, non ne vogliano sapere per dileggio nei confronti del Ministro (che al momento deve difendersi dalle accuse che, seppure in maniera collaterale, lo vogliono coinvolto in uno scandalo misto tra corruzione e concorsi truccati), oppure se rispondano semplicemente a criteri legali.

Il passaggio fondamentale, che riprende il vecchio articolo succitato, riguarda l’Osservatorio Nazionale delle Manifestazioni Sportive. Si legge: “Alla presidenza dell’Osservatorio del Viminale per la prima vota da questa estate c’è una donna, Daniela Stradiotto. Padovana, una importante carriera in polizia, appassionata di rugby: sta conoscendo in questi giorni il mondo del calcio”.  Posto che ci fa piacere venga sdoganata la presenza femminile all’interno delle stanze di un Ministero, ci chiediamo come mai in un ruolo così delicato e che riguarda quasi esclusivamente il rapporto con i tifosi di calcio, venga piazzata una figura che col calcio c’entra ben poco? Come se per riparare un lavandino, al posto di un idraulico chiamassimo un pompiere, giusto perché entrambi lavorano con l’acqua. Sarebbe bello, per una volta, che a ricoprire certi ruoli ci fosse chi sa dove mettere le mani. Sempre tenendo presente che organi come l’Osservatorio rappresentano per l’Italia un costo non da poco, mantenendo un’utilità, teoricamente, solo consultiva. Anche se questa è venuta meno da troppo tempo e, de facto, lo stesso ha facoltà di vietare trasferte in base al medievale principio geografico/campanilistico e punire intere tifoserie che magari, in una loro piccola percentuale, si sono rese protagoniste di qualche incandescenza nelle giornate precedenti.

Non può mancare quindi l’approfondimento di quanto accade a Roma. Bianchi afferma che la situazione non cambierà e, di concerto con la Stradiotto, si augura che siano i tifosi di Roma e Lazio a tornare nei rispettivi settori popolari. In tutto ciò al giustizialista giornale di Scalfari sfugge che non ascoltare la protesta della gente, etichettandola soltanto come violenta e reietta per partito preso, è quanto di più errato e presuntuoso si possa fare. I tifosi non torneranno semplicemente perché gli viene detto che quanto messo in atto all’Olimpico è solo frutto di un normale percorso istituzionale. “Le regole, certe regole, non sono atti vessatori, contro qualcuno. Ma vengono studiate per venire incontro alle esigenze di tutti” ha detto la numero 1 dell’Osservatorio. Anche qua l’affermazione si presta a diverse constatazioni. Le regole, in quanto tali, non è detto che siano giuste. Anche le dittature di Hitler, Stalin e Pinochet erano caratterizzate da leggi e regole, non per questo oggigiorno diciamo che fossero “studiate per venire incontro alle esigenze di tutti”Altrimenti dovremmo condannare pure la Rivoluzione Francese, che sin dalle scuole ci hanno insegnato essere la madre di tante libertà concesse. E poi quali esigenze, scusateci? Ma ci siamo guardati attorno? Quando ci parlate di stadi europei, di modelli inglesi, tedeschi e australiani, lo fate con cognizione di causa? Perché i tifosi sarebbero i primi a voler un sistema calcistico pari a quello tedesco. In tutto e per tutto.

Invece si preferisce ignorare l’istanza del popolo. Anzi, peggio ancora, tacciarne ogni sfaccettatura come demagogica e, ormai va di moda, populista. La legalità è diventato un fattore primario. E siamo d’accordo. Ma non siamo d’accordo sull’impossibilità di giudicare modi e maniere con cui viene posta in essere. Non crediamo di predicare nel vuoto, in un periodo così delicato per il mondo e per l’Europa, nello specifico. Dalle piccole situazioni, dalle facezie, quale il calcio rappresenta, si costruiscono tanti altri aspetti della vita sociale. Lo hanno dimostrato in questi anni i tanti volti della repressione sperimentati negli stadi ed esportati nella società civile. Quindi i tifosi romani non hanno dichiarato guerra alle barriere per il piacere di farlo. Andrebbero ascoltati. Ma siamo sicuri che tra un mese, quando il pallone ricomincerà a rotolare, le telecamere eviteranno di inquadrare i settori vuoti, i giornali prepareranno il terreno per facili demonizzazioni e il carrozzone di questa Serie A, sempre più insipida e poco credibile, andrà avanti come nulla fosse. Con gli stadi sempre più vuoti e gli appelli a riempirlo da parte di chi li ha svuotati. A ognuno il suo.

Simone Meloni.

[FONTE: Sport People]