Basta curva chiuse Stampa
Venerdì 14 Marzo 2014 17:59

Dal sito “Contraccolpo” riportiamo l’articolo “Basta curve chiuse” tratto da “Non c’è fede senza lotta “ n° 31

 

 

Questa settimana, successivamente al derby giocato contro di noi, il Chieti calcio ha ricevuto una sanzione dal giudice sportivo di Lega Pro perchè: “i sostenitori della società Chieti più volte durante la gara intonavano cori inneggianti alla discriminazione territoriale verso la Città di Teramo; i medesimi al termine della gara indirizzavano verso un calciatore di colore della squadra avversaria espressioni di discriminazione razziale; che tali manifestazioni venivano chiaramente e distintamente percepite dal commissario di campo e dal collaboratore della Procura Federale”. Di conseguenza il giudice sportivo ha deliberato: “di infliggere alla società Chieti la sanzione della chiusura del settore dello stadio denominato “curva nord” per una gara effettiva, ma nello stesso tempo di sospendere l’esecuzione della sanzione” . Tralasciando il discorso razziale (ognuno fa i conti con la propria coscienza che poi altro non è che frutto della propria intelligenza), quello che ci è saltato all’occhio è la presunta discriminazione territoriale di cui avevamo già parlato qualche settimana fa. Ma questa volta la sentiamo più di altre perché la repressione non è un teorema: o la vivi sulla tua pelle, o rimane semplicemente un vocabolo che riempie la bocca dei saputi. Questa volta gli “offesi” siamo noi, altre volte sono stati loro, non ce le siamo mai mandate a dire, i complimenti reciproci sono sempre stati il sale di questa rivalità, i difetti delle nostre città li conosciamo noi e li sanno loro, ma c’è qualcosa che viene dal petto che ci fa amare chi siamo e da dove veniamo. Il giudice sportivo di Lega Pro dovrebbe sapere che senza la gente come noi, quelli come lui non esisterebbero. Solo che noi siamo quelli che rompono il cazzo (quindi repressi), perché non molliamo. Perché il calcio è cambiato (ci ripetiamo inevitabilmente) ed oggi bisogna vendere il prodotto, anche se misero come la Lega Pro, un prodotto da rendere “appetibile” e privo di quei retaggi che un passato fatto di passione popolare può rappresentare, quindi meglio chiudere un settore che rischiare di sentire gli “osceni cori”, scimmiottando la moda in voga nelle serie maggiori, quelle che “contano”. Ci vogliono trasformare in una scatola di detersivo da vendere, senza passione: lo spettacolo deve essere in campo, il pubblico non ha importanza, è chi guarda la partita in tv o passa le domeniche nelle sale scommesse che conta. 
In un sistema basato su speculazione e ricavi, i clienti contano, noi creiamo problemi, chi la pensa come noi rappresenta un problema per la seconda industria nazionale dopo la mafia, perché questo è il calcio oggi. La repressione che subisce anche la più semplice manifestazione di passione spontanea quale è quella di mandare affanculo chi ci mandi da quarant’anni, avviene perché adesso a dare fastidio non è più semplicemente l’espressione Ultras, ma è la partecipazione e la spontaneità della gente che a chi manovra il giocattolo del pallone non serve, men che meno allo stadio, dove servono invece clienti che portano profitto, quello che le nostre mani e voci non hanno mai portato. E noi per questo continuiamo a combattere, per quello che è dentro di noi, che ci fa stare insieme perché sentiamo qualcosa che ci accomuna: l’appartenenza alla stessa terra, l’amore per gli stessi colori. Questi siamo noi, questi dobbiamo continuare ad essere; qui non è più in gioco il nostro modo di essere ma la passione di tutti. In un paese dove il prodotto si è venduto bene, l’Inghilterra, le tifoserie si scontrano fuori e negli stadi fanno le battaglie per avere settori con posti in piedi. In un paese come il nostro, dove si continua a sparlare, nella più classica usanza d’esterofilia italica, di modelli e sistemi che nulla hanno a che vedere con quello che la tradizione di uno sport popolare come il calcio ha sempre rappresentato, noi continuiamo ad essere scomodi perché non rinunciamo a quello che siamo, non rinunciamo ad emozioni vere a rapporti veri, per un qualcosa di vuoto, per un cubo di cemento che non ti lascia nulla, non rinunciamo allo stadio continuiamo ad esprimere l’amore per questa centenaria e gloriosa maglia, per quello che siamo, per Teramo, continuiamo ad esprimere la nostra passione anche se questo calcio ci piace sempre meno, noi continuiamo ad essere noi stessi, ricordiamocelo sempre, noi clienti non ci diventiamo.

[FONTE: Contraccolpo]