Federsupporter bacchetta il mondo del calcio sul tema delle chiusure di settori degli stadi Stampa
Domenica 01 Settembre 2013 09:56

Sempre più frequentemente, purtroppo, si stanno verificando chiusure al pubblico di settori degli stadi a causa di grida, cori, manifestazioni in genere espressione di discriminazione razziale provenienti da tali settori. A dirlo a gran voce è Federsupporter (il sindacato dei tifosi), come si legge in una nota di questo pomeriggio.

 

 

I casi più recenti sono quelli della chiusura della Curva Sud dello Stadio Olimpico ai tifosi della Roma, decisa dal Giudice Sportivo il 20 maggio scorso e confermata dalla Corte di Giustizia Federale (CGF) il 14 giugno scorso (Comunicato Ufficiale n. 022/CGF del 29 luglio scorso), in riferimento alla gara Roma – Napoli del 19 maggio scorso, nonché della chiusura della Curva Nord del predetto Stadio ai tifosi della Lazio, decisa dal Giudice Sportivo il 19 agosto scorso (Comunicato Ufficiale n. 27 in pari data della Lega Nazionale Professionisti Serie A), confermata con decisione della CGF del 23 agosto scorso (Comunicato Ufficiale n. 033/CGF in pari data), in riferimento alla gara Supercoppa Tim 2013, Juventus – Lazio del 18 agosto scorso.

Ciò premesso, le condizioni di abbonamento delle società di calcio prevedono che il titolare dell’abbonamento stesso non ha alcun diritto al rimborso, neanche parziale, nei casi di squalifica dello stadio o dell’obbligo di disputare partite casalinghe a porte chiuse o di chiusura di settori, salvo che tali provvedimenti siano dovuti a responsabilità diretta della società, accertata con sentenza dell’Autorità Giudiziaria passata in giudicato.

Le suesposte limitazioni di responsabilità sono fatte approvare specificatamente dal’abbonato, con sottoscrizione autonoma, ai sensi dell’art. 1341 C.C.

Ebbene, a mio avviso, tale limitazioni devono considerarsi nulle.

Il Codice del Consumo (Decreto Legislativo 6 settembre 2005, n. 206, e successive modifiche ed integrazioni) stabilisce, infatti (artt. 33, 34 e 35) quali sono le clausole vessatorie e la loro interpretazione e, soprattutto, per quello che qui interessa, ne prevede (art. 36) la nullità, qualora inserite nei contratti tra consumatori e imprese (tali sono le società di calcio).

Si presumono vessatorie, tra le altre, fino a prova contraria, le clausole che escludono o limitano le azioni o i diritti del consumatore nei confronti delle predette imprese, in caso di loro inadempimento, totale o parziale, ovvero di adempimento inesatto.

Nel contratto concluso mediante sottoscrizione di moduli o formulari predisposti dall’impresa, come nel caso degli abbonamenti alle partite di calcio, incombe a quest’ultima l’onere di provare che le clausole o gli elementi di clausola, malgrado siano dalla medesima unilateralmente predisposti, siano stati oggetto di specifica trattativa con il consumatore.

Sfido qualunque società di calcio a provare che le limitazioni di responsabilità in argomento vengano fatte oggetto di specifica trattativa con il tifoso che contrae l’abbonamento.

D’altronde, che le stesse società riconoscano che le limitazioni di cui trattasi costituiscono clausole vessatorie è dimostrato dal fatto che esse ne richiedono la specifica, autonoma approvazione ai sensi dell’art. 1341 C.C. (“Le condizioni generali di contratto predisposte da uno dei contraenti sono efficaci nei confronti dell’altro, se al momento della conclusione del contratto questi le ha conosciute o avrebbe dovuto conoscerle usando l’ordinaria diligenza. In ogni caso non hanno effetto, se non sono specificatamente approvate per iscritto, le condizioni che stabiliscono, a favore di colui che le ha predisposte, limitazioni di responsabilità� Omissis”).

L’art. 36 del Codice del Consumo, norma speciale, quindi prevalente sulla normativa generale di cui all’art. 1341 C.C., prevede l’assoluta nullità di tali clausole (cosiddetta “nullità di protezione”), ancorchè approvate specificatamente ai sensi dello stesso art. 1341 C.C., qualora inserite nel contratto predisposto da un’impresa con un consumatore.

E’ evidente la ratio di questa disposizione, insita nello stesso titolo dell’art. 36 (nullità di protezione), che consiste nella volontà di proteggere il consumatore comune quando acquista beni o servizi da un’impresa, rispetto alla quale non dispone di alcun potere contrattuale e di alcuna competenza e capacità professionali di prendere coscienza e di negoziare singole clausole o elementi di clausola che limitino responsabilità del venditore.

Le società calcistiche, in quanto appartenenti all’ordinamento sportivo, rispondono del comportamento dei propri tifosi allo stadio anche a titolo di responsabilità oggettiva.

Gli abbonati, in quanto non appartenenti al predetto ordinamento, non rispondono e non possono rispondere, come le società, a titolo di siffatta responsabilità.

In altri termini, se uno spettatore si comporta male non è che tale comportamento possa ricadere, a nessun titolo, su altri spettatori, i quali abbiano mantenuto un comportamento del tutto corretto.

Essi subiscono un danno indiretto, dovuto all’impossibilità di assistere alla gara, ma giammai possono subire anche il danno diretto della perdita del corrispettivo pagato per assistere a quella gara.

L’esclusione del rimborso di tale corrispettivo, nel caso di chiusura, totale o parziale, dello stadio o di alcuni settori di quest’ultimo comporterebbe, di fatto, la traslazione della responsabilità oggettiva, che incombe sulle società, anche sugli abbonati.

Società sulle quali incombe, altresì, l’obbligo civilistico di assicurare agli spettatori che hanno comprato l’abbonamento di poter assistere alle gare per cui hanno versato i loro soldi, dovendoli, in caso contrario, risarcire.

Federsupporter, in unione con il Codacons, valuterà attentamente nei prossimi giorni gli aspetti del problema, con riserva di assumere tutte le necessarie ed opportune  iniziative per rimuovere questa antigiuridica situazione, a tutela dei tifosi, quali consumatori dello spettacolo sportivo.

In particolare, ci si riserva di valutare l’opportunità di richiedere ed ottenere la tutela amministrativa di cui all’art. 37 bis del Codice del Consumo, secondo cui l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, su denuncia dei consumatori interessati, dichiara la vessatorietà delle clausole inserite nei contratti tra professionisti e consumatori che si concludono mediante adesioni a condizioni generali di contratto o con la sottoscrizione di moduli, modelli o formulari. Il provvedimento che accerta la vessatorietà è diffuso mediante pubblicazione su apposita sezione del sito internet istituzionale dell’Autorità, sul sito dell’operatore che adotta la clausola ritenuta vessatoria e mediante ogni altro mezzo ritenuto opportuno in relazione all’esigenza di informare compiutamente i consumatori.

Dall’accertamento della vessatorietà discende la nullità della clausola o delle clausole ritenute vessatorie.

E’ auspicabile, peraltro, che le società di calcio vogliano spontaneamente risarcire, sia in forma specifica e diretta e sia sotto altre forme, i propri abbonati incolpevolmente impediti di assistere a una o più gare della propria squadra.

E’, inoltre, auspicabile che le stesse società, le autorità sportive e le forze dell’ordine individuino coloro i quali, con loro sguaiate ed incivili espressioni di razzismo, provocano la chiusura, totale o parziale, di stadi.

Né ciò dovrebbe risultare impossibile e nemmeno difficile, posto che tutti gli stadi italiani, almeno quelli più importanti, sono – dovrebbero essere – dotati di moderni e sofisticati impianti audio – visivi capaci di inquadrare e identificare i soggetti che si lascino andare a tali manifestazioni.

Una volta così identificati, detti soggetti andrebbero perseguiti amministrativamente (Daspo) e, ove ne ricorrano le condizioni ed i requisiti, penalmente, ma, soprattutto, andrebbero perseguiti civilmente dalle stesse società per il risarcimento dei danni da essi causati.

La consapevolezza di poter essere pesantemente colpiti nella tasca credo, infatti, possa rappresentare il deterrente più efficace nei confronti loro e di tutti quelli che ne volessero imitare le gesta.

Auspico, infine, che da parte degli organi arbitrali, di quelli federali e della giustizia sportiva vi sia parità di trattamento nei confronti di tutte le società e di tutti i sostenitori di queste ultime, evitando così che, in taluni casi, si chiuda un occhio e in talaltri si tengano ben spalancati e vigili entrambi gli occhi e che non vi siano presunti cattivi e presunti buoni.

Corre l’obbligo, in specie agli arbitri ed agli esponenti federali presenti alle gare, di fare attenzione e di menzionare, nei loro referti e /o rapporti fidefacenti, non solo le manifestazioni espressive di discriminazione razziale, solitamente, di sparuti gruppi di spettatori, ma anche, ove vi siano, delle manifestazioni di dissenso degli altri spettatori, solitamente in maggioranza.

E ciò affinchè non vengano vanificate le esimenti ed attenuanti ex art. 13 del Codice di Giustizia Sportiva, dalla cui lettera d) è prevista, per l’appunto, quale condizione per l’applicazione di tali esimente ed attenuanti, la circostanza che altri sostenitori abbiano chiaramente manifestato, nel corso della gara, con condotte espressive di correttezza sportiva, la propria dissociazione da tali comportamenti.

Solo così gli spettatori corretti, resi consapevoli di poter contribuire concretamente al bene della propria squadra e di se stessi, si sentiranno incoraggiati a manifestare la loro dissociazione, qualora, però, se ne tenga effettivamente conto.

Viceversa, se tali manifestazioni di dissenso rimanessero o rimarranno per nulla o scarsamente considerate, ai fini della punibilità e della punizione delle condotte vietate a opera di minoranze, le quali potrebbero avere anche scopi estorsivi, intimidatori o ritorsivi, è chiaro che dette manifestazioni di dissenso verrebbero disincentivate.

[FONTE: Sport Economy]