Nel Paese degli scandali pensano al carrarmato dei tifosi Stampa
Venerdì 19 Luglio 2013 13:00

È impressionante l’incapacità di raccontare cosa sia la Festa della Dea. Abete, Palazzi, guardate qui: i carrarmati dell’Atalanta sono 15 mila.

 

Nel Paese dove una donna e una bimba di 6 anni, moglie e figlia di un dissidente kazako, vengono sequestrate con un blitz degno delle migliori teste di cuoio e rispedite in aereo in bocca al satrapo che perseguita la loro famiglia.

Nel Paese dove tutto questo accade, con il capo del governo, il vicepremier-ministro delI’Interno e quello degli Esteri che dicono di non saperne nulla e, naturalmente, nessuno dei tre si dimette, fregandosene della figuraccia mondiale cui hanno esposto la Nazione che, in teoria, dovrebbero governare.

Nel Paese, dove il vicepresidente del Senato rivolge un insulto razzista e infame a una signora, ministro della Repubblica, la cui colpa è di avere origini congolesi e, naturalmente, il vicepresidente del Senato non si dimette e nemmeno si sotterra sotto mezzo metro di vergogna.

In questo stesso Paese, che sarebbe meraviglioso se non fosse infestato da una Casta putrida e pronta a tutto pur di difendere poltrone e privilegi, per due giorni le porcate (definizione tratta dal lessico calderoliano) sono passate in fanteria, per additare al pubblico ludibrio il carrarmato della Festa della Dea, i tifosi atalantini, gli ignari Migliaccio e Stromberg, gli ultrà della Curva Nord, i barbari orobici razzisti e violenti.

Un campionario di falsità e di nefandezze mediatiche, un minestrone di luoghi comuni, stereotipi, disinformazione e superficialità, sparati nei primi titoli di alcuni tg con audience da prefisso telefonico, quelli che stanno alla notizia come il diavolo all’acquasanta. Per non dire dei somari che hanno infarcito i loro resoconti di errori di sintassi e di toponomastica, trasferendo addirittura la Festa della Dea da Orio al Serio al centro di Bergamo dove, è notorio, ogni sera dall’11 al 16 luglio si sono riunite 15 mila persone vestite di nerazzurro.

È impressionante e, al tempo stesso, deprimente l’incapacità di raccontare le cose come stanno, forse perchè bisogna alzare i tacchi e andare a vedere di persona che cosa sia e che cosa significhi la Festa della Dea, anzichè rimanere davanti al computer e fare copia e incolla di notizie raccolte male e scritte peggio.

A scanso di equivoci, dichiaro che la mia passione è atalantina sin da quando, aspirante giornalista, come tale e come tifoso, mi capitò di seguire la squadra nel suo primo e, grazie a Dio, unico campionato di serie C. E quando si va all’inferno e dall’inferno si torna, ti incolli alla maglia che ami con un bostik che niente e nessuno può mai scalfire.

Ho una concezione anglosassone della rivalità sportiva. Rispetto profondamente ogni tifoseria, la sua storia, la sua passione. Sono incapace di tifare contro qualcuno o qualcosa. Non mi sento nemico di nessuno. Non mi sognerei mai di passare manco con un triciclo sopra un’auto con i colori del Brescia, della Roma o di chicchessia.

Ciò detto, bisogna conoscere prima di giudicare. Bisogna capire prima di parlare di ciò che non si sa, facendo invece finta di sapere. Ha detto Antonio Percassi: “Domenica sera avete fatto una goliardata e so che a voi piacciono gli scherzi. Ma fate i bravi….». E Claudio Galimberti, il capo della Curva Nord, ha colto al volo il significato delle parole del presidente: «Non volevamo mettere in difficoltà nessuno, è stato solo uno scherzo. Ho capito il messaggio, mai fare del male all’Atalanta Bergamasca Calcio».

Per il secondo anno di fila, sono andato alla Festa della Dea, spinto anche dalla curiosità giornalistica per capire come mai e che cosa spingesse a ritrovarsi ogni sera, tutti insieme, decine di migliaia di uomini, donne, bambini (una valanga di bambini), famiglie (una valanga di famiglie), giovani e vecchi. Per conoscere i 300 volontari, molti dei quali cassintegrati, disoccupati, precari oppure pronti a sacrificare le ferie pur di lavorare gratis durante la settimana più importante dell’anno.

Ho cominciato ad addentrarmi nel mondo degli ultrà atalantini, così come, per motivi professionali, in passato mi ero addentrato in altri mondi ultrà. Dovunque, ho capito che si sta meglio con la gente della curva e che, spesso i cattivi incontri li fai nelle tribune d’onore.

Ho sempre detestato la violenza da qualunque parte essa provenga, anche da chi magari dovrebbe proteggere i tifosi e, invece, li massacra di botte riducendone uno in fin di vita e sfangandola in tribunale.

Allo stesso modo, ho sempre detestato le criminalizzazioni indiscriminate, le strumentalizzazioni, i moralisti e i moralismi. Chi sbaglia deve pagare, ultrà o non ultrà, punto e basta. Ma chi sbaglia. Non tutti quelli che hanno in corpo la passione, l’entusiasmo, la gioia di ritrovarsi, di fare festa, la generosità, l’altruismo.

Il polverone mediatico sul carrarmato ha coperto iniziative di solidarietà che fanno onore ai ragazzi della Nord bergamasca.

Ce ne fosse stato uno, in mezzo ai commenti cialtroni, che avesse parlato della raccolta di fondi degli atalantini per i terremotati di Moglia (Mantova), i quali si sono presentati sul palco della Festa capitanati dal loro parroco. Commosso sino alle lacrime eppure capace di impartire la benedizione e di recitare l’Ave Maria con gli ultrà, una scena che avrebbe mandato in sollucchero Francesco, grandissimo Papa, Ultrà di Dio e tifoso di calcio, connubio non casuale.

Ce ne fosse stato uno, in mezzo ai commenti cialtroni, che avesse parlato dei due mesi durante i quali, a gruppi, i Barbari della Curva Nord hanno frequentato il reparto di pediatria dell’Ospedale Giovanni XXIII di Bergamo, hanno giocato con i bambini gravemente ammalati, hanno raccolto fondi per la fantastica Associazione Amici della Pediatria, hanno conquistato medici, infermieri parenti dei bimbi con la loro sensibiità.

Ce ne fosse stato uno, in mezzo ai commenti cialtroni, che avesse ricordato come, in questi anni, ultrà e Amici dell’Atalanta, parola del loro presidente Marino Lazzarini, abbiano raccolto 650 mila euro, destinati tutti a iniziative umanitarie intraprese in Italia e all’estero.

Ce ne fosse stato uno, in mezzo ai commenti cialtroni, che avesse raccontato l’applauso scrosciante rivolto dai 15 mila alla memoria di Andrea Toninelli, 22 anni, tifoso del Brescia, scomparso in un tragico incidente stradale il 26 maggio scorso, di ritorno dalla trasferta di Livorno. Ai suoi funerali, la Curva Nord dell’Atalanta aveva inviato una corona di fiori, un gesto di rispetto umano al di sopra e al di là di ogni rivalità sportiva, per quanto acerrima possa essere.

Poiché sul carrarmato c’era l’incolpevole tesserato Migliaccio, l’Ufficio Indagini della Federcalcio ha prontamente aperto un fascicolo. Come ha scritto Aligi Pontani su Repubblica il 27 giugno scorso, “l’ufficio apertura fascicoli della federcalcio, impropriamente noto come ufficio indagini, ha una storia magnifica. Si caratterizza infatti per aver indagato solo sulle altrui indagini. Funziona così: Palazzi e il suo staff, consci della fiducia in loro riposta dal calcio tutto, aspettano pazientemente che qualcosa si muova. Al mattino comprano presto i giornali, incrociando le dita o compiendo altri atti scaramantici. Di solito va bene: si parla di arbitri, rigori negati, fantasiosi obiettivi di mercato, polpacci indolenziti, spogliatoi turbolenti, roba così. Talvolta invece va male, e negli ultimi anni capita spesso: si legge il giornale e si scopre che una procura – una a caso, una a turno, da Aosta a Palermo – ha deciso di mettere in naso negli affari del calcio restando quasi tramortita dall’olezzo emanato”.

E’ talmente nauseabondo questo olezzo, che è meglio prendersela con l’ignaro Migliaccio, l’Atalanta e i suoi tifosi. Occhio, però, Abete e Palazzi: martedì sera i carrarmati dell’Atalanta erano 15 mila. Deferiteli tutti. Vi verranno addosso con la loro passione. Vi farà un gran bene.

Xavier Jacobelli

[FONTE: Globalist]