Napoli-Fiorentina: l'altra verità Stampa
Martedì 06 Maggio 2014 14:55

Dopo avere letto articoli “fantasiosi e alquanto bizzarri” su quello che è accaduto sabato scorso nella finale di Coppa Italia Napoli-Fiorentina vi proponiamo una serie di articoli che ci danno una realtà decisamente diversa sui fatti realmente accaduti.


GENNY ‘A CAROGNA RACCONTA LA SUA VERITÀ: «NESSUNA TRATTATIVA CON LE FORZE DELL’ORDINE»

Il capotifoso: i colpi di pistola non si erano mai visti, non potevamo più tifare. Speziale? Un segno di amicizia per una persona che cerca giustizia

Non si difende. Attacca. Trovarlo non è difficile: tra Forcella e piazza San Gaetano, dove è nato, lo conoscono tutti.

Jeans e giubbino, mani in tasca e viso affranto,offre un’ immagine che non ti aspetti. A cominciare dal nome: non è suo, raccontano nei vicoli, lo ha ereditato dal padre, e non indica cattiveria, ma sfortuna. Non è vero, dice, che a suo carico sabato ci fosse un Daspo, una diffida con obbligo di firma: il provvedimento, spiegano quelli della curva A, è scaduto da tempo.

Seduto tra gli amici su una panchina del centro storico non è facile riconoscere Genny, anche se la sua immagine impazza sul web. Il ragazzo pacato che difende le ragioni sue e dell’intera Curva A somiglia poco a quello che ha sbalordito milioni di italiani in diretta tv. Lo abbiamo visto tutti con la maglietta che inneggia al condannato per l’uccisione di un poliziotto, mentre con le braccia alzate e coperte di tatuaggi sembra dare il via alla partita tenendo in pugno i sui compagni. E quindi la squadra. E quindi le forze dell’ordine. E quindi una capitale assediata. Ma lui smentisce categoricamente che tutto questo sia successo. E racconta una storia completamente diversa. A volte confusa, lacunosa. Ma che esclude assolutamente ogni patto con la squadra e con le forze dell’ordine.

Come è andata veramente sabato a Roma?
«Quelle che sono state scritte sono tutte sciocchezze. Hamsik è venuto da noi solo per rassicurarci sulle condizioni del nostro amico, per dirci che stava meglio, che poteva farcela. Lo stesso messaggio che ci hanno dato le forze dell’ordine. Noi abbiamo parlato con tutti con calma e rispetto, senza minacce o provocazioni. Non c’è stata alcuna trattativa tra la Digos e la curva partenopea sull’opportunità di giocare o meno la partita. Il resto sono invenzioni dei giornalisti».

Quindi nessuna trattativa?
«Ovviamente no. Quello che è successo sabato è inaudito, non era mai accaduto che qualcuno sparasse ai tifosi. Di tutto questo sembra non importare niente a nessuno. Ma a noi sì, a noi interessa. Ed è per questo che abbiamo deciso di rinunciare alla coreografia che avevamo organizzato e che ci era costata quindicimila euro. E la stessa cosa hanno fatto anche i supporter della Fiorentina. Come avremmo potuto srotolare gli striscioni, e cantare, e ballare quando uno di noi era in fin di vita? Ci siamo rifiutati di farlo. Ma non abbiamo minacciato nessuno e non abbiamo detto di non giocare. Né avremmo avuto il potere per farlo. Noi non possiamo decidere nulla».

E quella maglietta che inneggia all’assassino di Raciti, non è un gesto di sfida?
«No, anzi. L’unica cosa importante di questa storia ormai è diventata la maglietta che io e gli altri tifosi indossiamo. ”Speziale libero” c’è scritto. Ma attenti: la maglietta è in onore di una città dove abbiamo tanti amici e nei confronti di un ragazzo che sta chiedendo attraverso i suoi legali la revisione del processo. È una richiesta di giustizia, non un’offesa contro una persona deceduta o contro i suoi familiari».

[Fonte: Il Mattino]


COSA È SUCCESSO IN FIORENTINA NAPOLI? NON CHIEDETELO AI GIORNALISTI

Quando si vuol comprendere qualcosa di un fatto di cronaca, capita ancora – per riflesso condizionato – di affidarsi agli organi di stampa. Poi arriva una giornata come quella di ieri ed ecco che l’illusione svanisce.

L’immediata vigilia di Fiorentina Napoli si apre con una sparatoria a Tor di Quinto, nei pressi di un vivaio. Tre tifosi del Napoli restano feriti, uno è in condizioni gravissime.

Cosa è accaduto esattamente? Difficile capirlo a caldo. Almeno stando a sentire i resoconti degli organi di stampa.

Se lo dice la Questura allora è vero

Del tutto dimentichi del vecchio adagio secondo cui un giornalista dovrebbe quantomeno diffidare delle verità ufficiali, i media (la Rai in primis) contribuiscono ad alimentare la confusione.

Da quando si diffonde la notizia del ferimento del tifoso napoletano, la tv di Stato e gli altri grandi organi di informazione non fanno altro che rilanciare la versione della questura, senza mai metterla realmente in discussione.

Per quanto illogica, la versione che viene ribadita fino al termine dei 90 minuti di gioco è sempre la stessa, ripresa letteralmente dal comunicato ufficiale delle autorità: «al momento il triplice ferimento non sembra essere collegato a scontri tra tifosi, ma avrebbe cause occasionali». Questa è la sola verità che passa per tre ore buone.

Scordatevi il tifo, scordatevi le rivalità accese tra le tifoserie (direttamente e indirettamente) coinvolte nell’evento romano. Il calcio non c’entra un tubo, si tratta solo di criminalità. Il fatto che di mezzo, nella veste di vittime, ci siano dei tifosi è un puro caso.

Poco credibile? Non per i giornalisti Rai, che in telecronaca, prima e durante la partita, ribadiscono il concetto.

Stessa versione sui media online. Tutto gira attorno al vivaio in cui sarebbe stata ritrovata la pistola. E’ stato proprio il vivaista a sparare? E quale folle ragione lo avrebbe spinto all’insano gesto? Si vagliano le ipotesi più varie.

Colpa della carogna

L’attenzione intanto viene tutta spostata su quello che diventerà l’eroe nero della serata, il capo ultras napoletano G.D.T., meglio conosciuto come Genny ‘a Carogna.

E’ lui, raccontano in Nostri, che – al termine di un breve conciliabolo sotto la curva con il capitano del Napoli Marek Hamsik – dà il via libera per dare il via alla partita, nonostante le tensione crescente.

A nessuno viene in mente che a prendere la decisione di giocare, assumendosi tutte le responsabilità del caso, è sempre il prefetto. Non Genny ‘a carogna, né Hamsik.

Scrive oggi su Repubblica Carlo Bonini:

“Così convengono, già intorno alle 19.30, il prefetto di Roma Giuseppe Pecoraro e questore Massimo Mazza”.

Lo stesso questore Mazza oggi torna sull’argomento e precisa:

“Non c’è stata alcuna trattativa con gli ultras del Napoli. Non abbiamo mai pensato di non far giocare la partita”.

Secondo Mazza, è stato solo accordato al capitano del Napoli di informare i tifosi, su richiesta di questi, sulle condizioni di salute del ferito.

La versione che è passata nel frattempo, però, è un’altra, e tale (ci si può scommettere) resterà.

Adesso che hanno trovato il “cattivo” di turno, i media preferiscono soffermarsi su questa affascinante figura. Ci raccontano la biografia del personaggio, “figlio di C.D.T., ritenuto affiliato al clan camorristico del Rione Sanità dei Misso. La sua leadership nella curva è nota da tempo: dapprima come capo del gruppo dei ‘Mastiffs’, e successivamente alla guidadell’intera curva A del San Paolo”.

E’ stato lui a decidere di giocare, ci dicono. È stata la camorra, dice qualcun’altro. Invece le forze dell’ordine, le autorità preposte, in questo teatrino non ci sono mai. Subiscono il diktat, è normale anche questo.

Nessuno sottolinea che l’elezione dei capi ultras a mediatori non è una fatalità del caso, ma una pratica antica (in Italia), resa possibile dalla compiacenza più o meno spontanea di società, giocatori e forze dell’ordine. Vabbe’.

Contrordine, il calcio c’entra

Poi c’è il brutto episodio dell’inno nazionale. A parte Renzi, in tribuna, sono in pochi a cantarlo. I napoletani fanno di più: fischiano. Anche questo aspetto verrà sottolineato a lungo dai media. Indignatissimi, più di tutti, i telecronisti Rai.

Intanto la partita si gioca. La curva nord (quella occupata dai tifosi azzurri) resta in silenzio come annunciato. La sud, occupata dai supporter viola, alterna cori di sostegno alla propria squadra a inni al Vesuvio sterminatore. Un po’ di indignazione ci scappa anche qui.

Alla fine vince il Napoli, per 3-1. Segue invasione di campo. Segue premiazione e festeggiamenti di rito. La tragedia di pochi minuti prima pare dimenticata.

Sono quasi le due di notte quando arriva un nuovo lancio di agenzia.

Si scopre che a essere fermato per la sparatoria di Tor di Quinto è un ultras della Roma. L’uomo, accusato di tentato omicidio, si trova al Gemelli dove viene curato per il ferimento di una gamba. Sarebbe stato lui a provocare i tifosi napoletani lanciandogli contro fumogeni. Alla loro reazione, avrebbe risposto sparando.

Si scopre anche che il soggetto in questione era stato coinvolto nella vicenda giudiziaria seguita al derby Roma Lazio del 2004, quello del bambino “morto”, sospeso proprio su “richiesta” dei leader delle due curve romane.

Insomma, l’impressione è che la sparatoria che ha anticipato la finale di Coppa italia non abbia avuto “cause occasionali”. Stando alla versione più recente, il tifo e le rivalità centrano e come. Almeno è questo quello che dice la questura. Ai giornalisti non chiedetelo.

[Fonte: Mondo Calcio Magazine]


VI SPIEGO PERCHÉ L’AUTO DI C. E., IL TIFOSO FERITO, NON DOVEVA ESSERE LÌ

Nella girandola infinita di ricostruzioni, commenti, ipotesi e dichiarazioni ufficiali relative ai gravissimi fatti di ieri sera a Roma, una sola cosa è certa: l’auto con a bordo C. E., il tifoso del Napoli colpito alla colonna vertebrale da un colpo di pistola esploso dall’ultrà romanista D. D., non doveva essere lì. Non doveva essere a Tor di Quinto. E se c’era, significa che il piano di sicurezza predisposto dalla Questura di Roma non è stato rispettato ma, ciò che è ancora più grave, non è stato fatto rispettare. Vediamo perché. Come in occasione di ogni trasferta, la Questura di Roma alcuni giorni prima dell’evento sportivo ha diffuso il comunicato ufficiale relativo alla Finale di Coppa Italia di ieri sera a Roma. Ecco la parte riservata ai tifosi provenienti da Napoli.
Piano sicurezza Napoli-Fiorentina: il comunicato della Questura di Roma

I tifosi del Napoli, a bordo di pullman, arriveranno nella Capitale attraverso i due caselli Autostradali A1 Roma Sud e Roma Est. Da questi saranno accompagnati allo stadio percorrendo itinerari predeterminati, parcheggiando nella zona esterna a nord dello stadio Olimpico individuata nei seguenti piani stradali: Via Volpi (25 pullman), P.le Ministero degli Affari Esteri (45 pullman), P.le Maresciallo Diaz lato via Toscano (40 pullman), P.le Maresciallo Diaz lato via Contarini (40 pullman), per una capienza totale di circa 160 pullman. I restanti tifosi partenopei che arriveranno nella Capitale con mezzi propri saranno indirizzati verso l’area di sosta di Saxa Rubra, dalla quale raggiungeranno lo stadio con navette Atac.

È importante, molto importante, leggere bene queste ultime due righe. Tra i tifosi partenopei arrivati con mezzi propri, infatti, c’erano anche C. E. e i suoi amici. I quali quindi avrebbero dovuto parcheggiare la loro auto a Saxa Rubra ed essere poi scortati insieme a tutti gli altri verso lo stadio a bordi di navette dell’Atac. Perché la Questura, come sempre in questi casi, aveva preso questa decisione?
Semplice: per evitare che piccoli o piccolissimi gruppetti sparsi di tifosi, a bordo delle proprie auto, raggiungessero l’area dello stadio senza alcuna misura di protezione. C’era pericolo di scontri. C., dunque, avrebbe dovuto parcheggiare l’auto a Saxa Rubra e essere “accompagnato” allo stadio, come tutti gli altri tifosi giunti con automobili e non con pullman. Se così fosse stato, ovviamente, non sarebbe successo nulla. E invece?
La testimonianza del tifoso del Napoli: “Ci hanno detto di proseguire fino allo stadio perché i parcheggi erano saturi”

E invece quell’auto a Saxa Rubra non si è fermata. Così come tantissime altre automobili provenienti da Napoli. Perché? “Siamo arrivati nei pressi di Saxa Rubra – racconta unsupporter azzurro giunto anche lui a Roma in auto – pensando di dover parcheggiare l’auto per poi raggiungere lo stadio con le navette. Invece, le forze dell’ordine ci hanno detto di proseguire in macchina, perché i parcheggi erano saturi. E così, siamo arrivati anche noi allo stadio seguendo il percorso dei pullman. Senza indicazioni su dove parcheggiare. Abbiamo lasciato l’auto a pochi metri dal luogo dell’aggressione a C.”.
A quel punto, il piano era già saltato. Centinaia di auto private avrebbero raggiunto autonomamente i pressi dell’Olimpico. Senza scorta. In una zona ad altissimo rischio. Con il pericolo concretissimo di restare isolati e senza protezione e di diventare bersaglio di assalti da parte di tifosi avversari. Per colpa di un parcheggio “saturo”. Possibile? La risposta dovrebbero darla i responsabili dell’ordine pubblico.

[Fontefanpage.it]


LO SPUTTANAPOLI È INIZIATO: TRATTATIVA MAI ESISTITA. LA VERGOGNA DELLA DISINFORMAZIONE NAZIONALE E LOCALE.

Partiamo da una considerazione: che questa fosse una partita ad altissimo rischio, lo si sapeva. Per un motivo molto semplice: a Roma, ieri, arrivavano due tifoserie che sono in pessimi rapporti, su un territorio, quello romano – sponda laziale e romanista - storicamente ostile ad entrambe. Ma le misure di precauzione prese dalle tre Questure coinvolte, hanno funzionato, almeno nello spazio immediatamente antecedente lo stadio, dove tra tifosi del Napoli e della Fiorentina non ci sono stati contatti, prima e dopo la partita.

L’episodio più grave avviene intorno alle 18.30. Quando una parte di ultras napoletani, dopo aver parcheggiato le auto a Tor di Quinto, iniziano a camminare verso viale Boselli, dove c’è l’ingresso all’Olimpico per i tifosi azzurri: il percorso è di circa 2 km, a occhio una decina di minuti a piedi. E’ qui che accade l’inverosimile. Un gruppo di tifosi romanisti, che evidentemente sapeva che i napoletani sarebbero passati di lì, decide di attaccare la colonna dei bus del Napoli con petardi e bombe carta. Tra di loro c’è D. D., noto come G.: personaggio molto influente in curva sud (che comunque non frequenta più in quanto sottoposto a Daspo), era insieme agli altri capi tifosi giallorossi che nel derby del 2004 chiesero ed ottennero la sospensione della partita per un motivo inventato: l’uccisione di una bambina da parte investita da una camionetta della Polzia. Venne processato, ma le accuse a suo carico sono andate in prescrizione. E’ un soggetto noto alle forze dell’ordine: in un Paese civile, D. sarebbe in galera già da un pezzo.

“Vi ammazzo tutti”, le parole che riecheggiano ancora nella mente di chi era lì, terrorizzato. Perchè ne nasce una colluttazione, e all’improvviso D. decide che è il momento di tirar fuori la pistola. E di sparare: prima in aria, per intimidire i nemici. Poi ad altezza d’uomo, ferendone tre. Uno di questi, C. E., si accascia a terra. Pronuncia qualche parola agli amici, prima di perdere conoscenza. E’ ferito gravemente: un proiettile gli ha trapassato l’addome e si è conficcato nella quinta vertebra. Da lì la reazione violenta dei napoletani, che inseguono D. e lo feriscono, spezzandogli una gamba. Iniziano gli scontri più violenti con le forze dell’ordine, che riesconono comunque a canalizzare i tifosi del Napoli verso l’Olimpico. Dove intanto si inizia a diffondere la notizia e dove arrivano altri tifosi del Napoli sprovvisti di biglietti: altri scontri con la Polizia. La situazione è tesissima. Si arriva così all’orario della partita.

Inizia a circolare la voce secondo la quale il tifoso del Napoli sarebbe morto. Gli ultras, ormai dentro lo stadio, tolgono bandiere e drappelli, nessuno striscione viene esposto.Vogliono sapere come sta il loro amico, avere notizie all’Olimpico è praticamente impossibile. I cellulari vanno in tilt, in tribuna stampa il collegamento a internet è inesistente. Il Napoli, nella persona del dirigente Alessandro Formisano, chiede agli esponenti della Lega e della Questura di portare Hamsik sotto la Curva per tranquillizzare tutti: C. E. è in coma, ma vivo. Hamsik parla con uno dei capi ultras, conosciuto in curva come G. c. Che, attenzione, non dà assolutamente l’ok per giocare la partita, per un semplice motivo: lo svolgimento della stessa non è mai stata in dubbio, come ha affermato il Questore di Roma nella conferenza stampa di questa mattina. Gli ultras comunicano alla società che loro non tiferanno, in segno di rispetto verso il tifoso ferito. Altrettanto decidono di fare gli ultras della Fiorentina, che hanno capito la gravità dell’accaduto e mostrano solidarietà nei confronti dei tifosi azzurri. Dopo il secondo gol di Insigne poi, i capi ultras decidono di andar via. Lasciano lo stadio, perchè loro in ogni caso non avranno nulla da festeggiare. Dopo la partita, il deflusso dei tifosi dall’Olimpico è assolutamente pacifico.

Alcune considerazioni a margine. Non c’è stata nessuna trattativa con il capo ultras della curva a: la notizia è stata servita per sparare titoli a nove colonne su media e giornali nazionali e napoletani. In queste ore continua lo sdegno verso quanto accaduto, ma il bersaglio è come al solito sbagliato. Indovinate quale è? Che domande. Napoli, sempre Napoli, solo Napoli. I cui tifosi finiscono nel mirino, anche per i consueti fischi piovuti al momento dell’inno nazionale. Ma una Nazione che non sa proteggere i propri cittadini, che non riesce a darsi regole ferre e soprattutto ad applicarle, che Nazione è? E’ buona solo a far sfilate con i suoi rappresentanti politici più eminenti nella tribunad’onore dello stadio Olimpico. Lo volete il titolo? Ve lo diamo. Ieri dopo la partita circa 500 tifosi del Napoli hanno invaso il campo, preso una bandierina del calcio d’angolo, divelto una porta. Non ultras, attenzione, tifosi “normali”. Ecco, l’invasione di campo viene punita con il Daspo. Andateli a prendere, uno ad uno. Sono loro la vera vergogna.

[Fonte: Tutto Napoli]


Ultrà, «30 anni alla Digos e una certezza: i Genny ci salvano dal caos»

Vita agra di un poliziotto politico allo stadio. «Perché parliamo con la Carogna? Perché una mano lava l’altra, meglio fare una brutta figura piuttosto che correre il rischio che qualcuno si rompa la testa. E poi sono quelli che se ne stanno con il culo al caldo che la chiamano figura di merda, chiaro?». Mica tanto: «Non c’è stata nessuna trattativa, sono solo informative».

Claudio non si chiama Claudio, ma se si scrivesse il vero nome e il cognome passerebbe dei guai, «serve l’autorizzazione e l’autorizzazione ora non te la danno». Vada per Claudio, il resto è tutta storia vera. Sta da trent’anni in polizia, sezione Digos, squadra stadio. «Quindi so di cosa parlo».

E gli altri hanno il diritto di commentare quello che hanno visto.

Perché per giocare una finale di Coppa Italia bisogna trattare con Genny a’Carogna?
«Ancora?»

Ancora...
«La Carogna ha fatto da tramite, non c’è stata nessuna trattativa».

E cos’era quel parlare fitto e rispettoso con il figlio di un camorrista?
«Ripeto: solo un’informativa. A una certa ora, in curva, si era sparsa la notizia che uno di loro era stato ammazzato. Quindi serviva qualcuno per informare gli altri e raccontare che non c’era nessun morto. Sì, anche io lo faccio sempre, lo faccio al telefono, anche durante la partita. Sono allo stadio per garantire l’ordine pubblico. Chiaro? Chi non sa e parla fa finta di dimenticare che questo è il nostro compito».

Così lo Stato tratta con i delinquenti?
«Ma quali delinquenti? Mi risulta che quel signore, la Carogna, avesse scontato il suo Daspo, quindi allo stadio ci poteva stare».

E quella maglietta che inneggiava a Speziale, l’assassino del suo collega Raciti?
«Quella non la doveva indossare, quando è entrato allo stadio sarà stata nascosta sotto il giubbotto e la felpa. Steward e forze dell’ordine possono perquisire 30mila persone. Però, come fanno a spogliare 30mila persone? Via, siamo seri».

[FONTE: ilsecoloxix]


Genny 'a carogna è un cittadino modello: lo conferma il ministero dell'Interno

Avete fallito. Se il calcio per l'ennesima volta ha perso, sabato sera, a Roma, la colpa è solo e soltanto vostra. Politici. Tutori dell'ordine  pubblico. Calciofili da divano e sociologi da social network. In poche ore siete riusciti nell'opera di: a) criminalizzare un'intera tifoseria, quella della Roma, come "sparatori" e poi quella del Napoli come "aggressori"; b) bollare come ultras un criminale come Daniele De Santis, da sempre vicino al mondo neofascista; c) omettere che De Santis, prima di essere uno "sparatore folle" è stato candidato con una lista municipale di estrema destra collegata al centrodestra; d) criminalizzare un capo ultras per una maglia (poi vi ha detto bene he il soggetto in questione era figlio di un camorrista); e) scandalizzarvi per chi difende la libertà di un ragazzo in carcere per aver causato la morte di un ispettore di polizia in un processo con tante, troppe lacune; f) aver lasciato passare senza problemi il messaggio della polizia ("Lo Stato non deve trattare con chi difende un assassino") dimenticando che però lo Stato conserva in seno chi applaude per 5 minuti gli assassini in divisa di un ragazzo di 18 anni.

A + B + C + D + E + F= Fallimento. Il vostro. Perché, se non ve ne siete accorti, Genny 'a carogna, criminale non è e non può essere. Il motivo? Semplice: era allo stadio. E come insegna il buon ex ministro Roberto Maroni e la sua geniale "tessera del tifoso", chi entra allo stadio è un cittadino modello. O no?

Per poter assistere a una partita di calcio le regole stilate dall'allora ministro dell'Interno prevedono, infatti, che i propri dati passino dalle questure che danno il via libera all'ingresso allo stadio. Se Genny era all'Olimpico, quindi, significa che poteva esserci (a meno che non si voglia mettere il funzionamento della "tessara del tifoso"...). Perché allora farne un modello di "criminalità da curva" se criminale non è? Forse perché aveva indosso la maglietta "Speziale libero"? E allora? Qual è il reato? Speziale è stato giudicato come il responsabile della morte dell'ispettore Raciti durante gli scontri tra Palermo e Catania. Quindi Speziale è colpevole. Così come è colpevole, ad esempio, Silvio Berlusconi di evasione fiscale. Ma quante volte si è sentito in tv rappresentanti delle istituzioni italiane scandire lo slogan "Berlusconi libero, Berlusconi innocente, Berlusconi vittima?". Sono mai state prese misure contro questi politici? No. E il motivo è semplice: ritenere una persona vittima di un errore giudiziariocome per altro potrebbe essere accaduto nel caso Speziale - non è un reato. Quindi, si può fare. Può essere discutibile umanamente, ma cosa differenzia Genny 'a carogna, ad esempio, da Alessandra Mussolini o da Renato Brunetta?

Forse il fatto che Genny non ha portato rispetto verso un poliziotto morto? Questo ha legittimato le grida di sdegno dei poliziotti contro "lo Stato che parla con chi difende un assassino": ma è lo stesso Stato ad avere in seno rappresentanti delle forze dell'ordine che applaudono per 5 lunghi minuti chi ha ucciso un ragazzo di 18 anni a suon di botte durante un fermo di polizia. Quindi, chi è più "anti-Stato"? Genny 'a carogna che difende un assassino o i poliziotti che incensano i loro colleghi che hanno ucciso Federico Aldrovandi?

Se volete, possiamo continuare all'infinito: potremmo, ad esempio, chiederci perché il centrodestra romano ha candidato tra le sue fila un personaggio come Daniele De Santis. Potremmo chiederci perché un "criminale" (come lo ha bollato in quattro e quattr'otto la stampa italiana) come Genny 'a carogna era allo stadio se è in vigore la "tessera del tifoso". Potremmo anche chiederci perché si continua parlare solo di una discoteca - quella in cui si dice che lavorasse De Santis - e non di un'intera zona frequentata da persone dell'estrema destra romana. E potremmo anche domandarci, ma qui la risposta potrebbe essere veramente pericolosa, perché i neofascisti (e, solo in un secondo momento, in questo caso romanisti) che frequentano le vie a "nord" dello stadio Olimpico si muovono con una pistola in tasca.

[FONTE: Today]