Quando l'ingiustizia la subiscono i tifosi, tutti tacciono... Stampa
Domenica 16 Giugno 2013 10:38

Dura lex sed lex”, diceva Digesto. “La legge è dura ma è la legge”, la traduzione letterale, e quindi va rispettata sempre e comunque.

 

 

È insomma un invito a rispettare la legge in tutti i casi, anche in quelli in cui è più rigida e rigorosa, perché avendo come prospettiva il risanamento di gravi abusi lesivi del diritto, privato o pubblico che sia, invita all'osservanza di leggi anche gravose in considerazione del beneficio della comunità. L’antico motto, coniato ai tempi in cui nell’antica Roma si passò dalle leggi tramandate in via orale a quelle scritte su carta, stava a significare però anche che la legge era uguale per tutti, ovvero che tutti avevano gli stessi diritti e gli stessi doveri. Ma che in Italia la legge sia uguale per tutti, è oramai un’utopia, solo una frase che campeggia nelle aule dei tribunali.

Vi direte: che cosa c’entra tutto questo con la Lazio e con il calcio? C’entra. E pure molto. Perché negli ultimi giorni due processi che vedono coinvolti dei tifosi, sono arrivati a una svolta: uno, quello relativo alla scalata della Lazio che portò all’arresto dei quattro capi degli Irriducibili alla chiusura della fase dibattimentale, mentre quello relativo ai fatti del derby sospeso nel 2004 al primo grado di giudizio. Sì, avete letto bene: 9 anni per avere una sentenza di primo grado. Cose che succedono solo in Italia. Ma la cosa veramente assurda, quasi allucinante, è che di come siano andati questi processi nessuno ne sa nulla o quasi, perché dopo titoli sparati a 9 colonne al momento in cui sono scattate le manette, dopo conferenze stampa della questura e anni di detenzione e tante vite rovinate per sempre, su questi due processi è calato un silenzio di tomba. Al massimo qualche trafiletto sul giornale, nascosto tra le righe della cronaca locale, giusto per mettersi la coscienza a posto. E sapete perché? Per il semplice motivo che alla fine i processi hanno preso una piega diversa da quella prospettata all’inizio, perché i castelli accusatori messi in piedi da PM (a volte) a caccia di vetrina mediatica sono crollati uno dopo l’altro e in alcuni casi gli imputati sono risultati quasi le vittime e gli accusatori i veri imputati. Ma andiamo con ordine.

Nel processo contro i 4 capi degli Irriducibili, nella sua requisitoria la PM Vittoria Bonfanti ha ammesso candidamente che alcune delle famose lettere minatorie ricevute da Claudio Lotito, un caposaldo dell’accusa per provare le illecite pressioni verso il presidente per obbligarlo a mollare la Lazio, non erano addebitabili ai quattro imputati, ma erano state scritte dalla moglie di Claudio Lotito, Cristina Mezzaroma, aiutata in questo dalla governante: il tutto per spingere il marito a vendere la Lazio. Insomma, il vero “nemico” Lotito ce l’aveva dentro casa. E la cosa grave, è che l’accusa ha ammesso di esser sempre stata a conoscenza di questo e di non aver denunciato il fatto per non creare “stress” alla signora Cristina Mezzaroma, già abbastanza “provata”dal fatto di essere la moglie del presidente più odiato nella storia della Lazio. Roba da restare senza parole. Si mandano sotto processo 4 persone, dopo oltre due anni tra carcere e arresti domiciliari, e poi a fine processo l’accusa confessa che sapeva che le lettere minatorie erano opera non degli accusati ma della moglie della vittima e che la stessa cosa valeva per quasi tutte le presunte telefonate minatorie messe agli atti, partite quasi tutte da utenze intestate a Cristina Mezzaroma. E mentre ascoltavano il PM, avvocati e pubblico scuotevano la testa, forse per trattenere l’indignazione dell’uomo di legge davanti ad un simile spettacolo i primi, per la rabbia che prova la gente comune che finisce stritolata da questo tritacarne mediatico gli altri. Se fosse periodo di Carnevale o il 1° aprile, si potrebbe pensare ad uno scherzo. Di pessimo gusto, visto che si parla di famiglie e di vite rovinate, ma di uno scherzo. Invece è la realtà che emerge dopo 7 anni di processo e di massacro mediatico. E di tutto questo, non avete letto nulla sui giornali, nonostante la presenza in aula di tanti giornalisti che magari erano in attesa di ben altro per dar seguito ai titoloni del passato. Non avete letto nulla sui giornali e gli avvocati degli imputati sono rimasti in silenzio, trattenendo a stento la loro indignazione, ma in attesa di un verdetto che probabilmente non arriverà prima della primavera del 2014, visto che la prossima udienza è stata fissata per il 1° ottobre, tra quattro mesi. Tanto, che fretta c’è…

E che la giustizia se la prenda “comoda” in certi casi in Italia, lo dimostra anche il secondo caso. Nei giorni scorsi, sono arrivate le sentenze di primo grado del processo per i fatti del 21 marzo del 2004, ovvero per il derby sospeso a causa dell’ingresso in campo di sette tifosi della Roma che parlando con Totti lo convinsero a chiedere la sospensione della partita, perché sugli spalti si era sparsa la voce della morte di un ragazzo travolto da una camionetta della Polizia. In molti, entrando allo stadio avevano visto un ragazzo coperto da un lenzuolo bianco e nel tam-tam uscì la “notizia” che era morto, ucciso dalla Polizia. In realtà, quel ragazzo aveva accusato solo un malore a causa dei gas respirati per il lancio dei lacrimogeni sparati dalla Polizia per disperdere le due tifoserie venute a contatti in diversi punti intorno allo stadio olimpico. Il malore divenne morte e all’interno dello stadio e soprattutto fuori si scatenò l’inferno, nonostante l’appello alla calma dell’allora Prefetto Serra che (non creduto) smentì categoricamente il fatto di cui veniva accusata la Polizia. Dopo un tempo infinito passato dai giocatori e dall’arbitro al telefono con l’allora presidente della lega Adriano Galliani, l’arbitro Rosetti optò per la sospensione dell’incontro. Il giorno dopo, la Questura di Roma operò numerosi arresti negli ambienti delle due tifoserie e fu istituito un processo che dopo 9 ANNI (sì, avete letto bene, 9 ANNI) è arrivato finalmente ad un verdetto di primo grado, quando per legge in 7 anni dovrebbero essere completati tutti e tre i gradi di giudizio.

Sono stati condannati 3 tifosi romanisti e 2 laziali, ma ben 11 imputati sono stati ASSOLTI PER NON AVER COMMESSO IL FATTO. E questa è la vera vergogna! Tra rinvii, continui cambi del collegio giudicante e un processo che si fermava e ripartiva da zero, undici persone hanno dovuto aspettare 9 ANNI PER AVERE GIUSTIZIA. Parliamo di persone a cui è stata stravolta la vita, perché oltre ad esser stati prima in carcere e poi ai domiciliari, dopo aver scontato lunghissime diffide con l’obbligo di firma ogni volta che si giocava una partita di calcio e dopo aver perso in alcuni casi anche il lavoro a causa di tutto questo, qualche giorno fa si sono sentiti direSCUSATE, CI SIAMO SBAGLIATI

Undici vite massacrate da 9 anni d’inferno, e adesso? L’unica strada è quella di chiedere un risarcimento danni, quindi di iniziare un altro iter burocratico e legale destinato a durare anni per ottenere una somma che non ripagherà mai il danno subito. E la cosa grave, è che per questo tipo di cause l’Italia è il paese più condannato d’Europa dal CEDU, la Corte Europea dei diritti dell’Uomo, l’organo con sede a Strasburgo a cui si rivolgono ogni anno centinaia di vittime della“mala giustizia” italiana.

Ogni volta che si parla di leggi speciali per debellare il fenomeno della violenza negli stadi, si dice di far riferimento al modello-inglese, quello varato dalla “Lady di ferro” Margareth Thatcher, recentemente scomparsa. Peccato che un dei caposaldo di quelle leggi speciali è il “processo per direttissima”. I tifosi arrestati per presunti atti di violenza, vengono messi immediatamente in cella (tutti gli stadi ne sono dotati) e vengono giudicati per direttissima il giorno dopo. Insomma, in Inghilterra si ha un primo verdetto al massimo entro 48 ore, mentre da noi, come in questo caso, bisogna aspettare 9 ANNI solo per avere una sentenza di primo grado. E quando l’ingiustizia la subiscono i tifosi, tutti tacciono. Niente titoli sui giornali, niente risarcimento mediatico dopo il massacro subito al momento dell’arresto. Perché un tifoso vittima dell’ingiustizia o della “mala giustizia italiana”, non fa notizia…


[FONTE: SS Lazio Fans - Millenovecento]