Il calcio e la società civile. La mancanza di etica e moralità Stampa
Mercoledì 10 Aprile 2013 12:57

Ieri si è giocato l'ennesimo derby tra Roma e Lazio. Scontri e “pungicati” nel pre-partita, gol, abbracci e “Roma merda”. Come il mondo del calcio rispecchia la società civile e viceversa.

 

E’ di 4 persone arrestate il bilancio provvisorio dei tafferugli provocati ieri dalle due tifoserie all’esterno dello stadio Olimpico prima del derby tra Roma e Lazio.

Per tutti e 4, alcuni dei quali con precedenti specifici, il Questore di Roma Fulvio della Rocca ha disposto il divieto di assistere alle manifestazioni sportive per 5 anni, il massimo previsto dalla normativa.

Il bilancio dei “pungicati”, questo il termine che ormai è diventato sinonimo di accoltellato, è di 7 persone ferite da armi da taglio. Pungicati; forse si usa questo termine per cercare di attenuare la gravità di quello che è successo ieri nei pressi dello stadio Olimpico di Roma prima del derby tra Roma e Lazio (non è la prima volta).

Premetto che non critico la mentalità ultras, che però ritengo sia tutt'altra cosa rispetto alle pungicate alle quali si è assistito ieri. Inoltre è necessario affermare che senza gli ultras il calcio non avrebbe tutta questa importanza, i calciatori non sarebbero così strapagati e non godrebbero di tutta questa popolarità, molte volte eccessiva.

Per fortuna ieri il derby ci ha regalato anche altre scene: le gioie e i dolori di Hernanes che prima firma uno splendido gol e poi calcia fuori il rigore decisivo, un Totti che spesso si è messo sulle spalle la Roma e ha cercato di non farla affondare siglando il gol del pareggio, l'abbraccio a fine partita tra l'allenatore della Lazio, Petkovic e quello della Roma, Andreazzoli. Ma la conclusione è stata tanto amara quanto il pre-partita vissuto fuori dallo stadio: Radu, difensore biancoceleste, a fine partita si reca sotto la curva nord, fortino degli ultras laziali, e cerca di attirare l'attenzione di migliaia di persone intonando un coro: “Roma merda”. Radu è lo stesso giocatore deferito per violazione dell'art.1, comma 1 del Codice di giustizia sportiva, ovvero ''per aver salutato i propri sostenitori con il braccio destro teso ed alzato, con le dita della mano serrate''.

Molti si chiederanno dov'è lo scandalo? Forse lo scandalo c'è e come. Se a scandire quel coro è un semplice tifoso potrebbe andare anche bene, ma se a scandire quel coro è colui che ha portato la fascia di capitano al braccio, qualcosa di anomalo ci potrebbe pur essere. Non potrebbe aver contribuito, con i propri atteggiamenti, a fomentare l'odio scaturito al di fuori dell'Olimpico?

Dov'è l'etica, la moralità e soprattutto la responsabilità di chi rappresenta una squadra? Purtroppo non è l'unico caso in cui idoli dei tifosi si sono lasciati andare a comportamenti, diciamo, poco corretti. Lo stesso Totti molte volte non si è dimostrato all'altezza della situazione. Sicuramente il problema non è il Radu di turno, ma la mancanza, sempre maggiore, di quei canoni di responsabilità che non fa altro che denigrare un mondo, quello del calcio, in perenne declino.

Forse l'ultras, quello vero, potrebbe contribuire a fermare questo declino, dimostrando di poter assumere un comportamento più nobile rispetto a chi ad esempio trucca le partite per lucrare ulteriormente, offendendo, implicitamente, chi fa sacrifici per poter seguire e sostenere la propria squadra. Nel calcio, come nella società, c'è troppo distacco tra chi governa (il calciatore) e i cittadini (gli ultras).

Il vero ultras è caratterizzato da un forte senso di appartenenza al proprio gruppo e dall'impegno quotidiano nel sostenere la propria squadra, che trova il suo culmine durante le competizioni sportive. Forse la stessa mentalità, intesa in questo modo, la si dovrebbe traslare nella vita di tutti i giorni, per contribuire ad una crescita della società civile grazie all'impegno, appunto quotidiano, di ciascun cittadino nel sostenere quelle che sono le regole etiche e morali, trovando il culmine durante le elezioni politiche. Non basta “impegnarsi” il giorno del voto per poi passare 5 anni nell'ombra, senza voler sapere né leggere né scrivere, senza prendersi la responsabilità della volontà espressa attraverso il voto. In questo modo, non ha senso andare a votare, e gli 11,6 milioni di astenuti parlano chiaro.

Se si riuscisse ad incanalare la rabbia vista ieri contro uno Stato sempre più distante dai cittadini, attraverso quell'etica e quella moralità sopra citata, forse si riuscirebbero a risolvere tanti problemi, a partire dalla repressione negli stadi, che continua ad essere una palestra repressiva per lo Stato: applicare le regole repressive prima al mondo ultras e poi all'intera società.

Incanalare una rabbia positiva, costruttiva e quotidiana, che riesca a smuovere lo stallo che il nostro Paese sta vivendo. Uno stallo non solo fisico, ma uno stallo, ancora una volta, etico e  morale.

Etica e moralità intese come non emotive, non riducibili a slanci solidaristici o amorevoli di tipo irrazionale, intese come discipline non soggettive, bensì oggettive, che possano guidare e formare una società migliore. Ma soprattutto etica e moralità che siano anche responsabilità di chi è stato delegato a guidare un Paese o semplicemente una squadra di calcio.

 Nicola Gesualdo

[FONTE: Sport People]