Se la religione del calcio è affidata a Tavecchio, meglio atei Stampa
Martedì 10 Novembre 2015 10:26

L'ho detto altre volte: sono un tifoso. Come metà degli italiani, anch'io "credo"  in una squadra di calcio. La stessa, da quand'ero bambino e ho "scoperto" il calcio. Perché il tifo è una fede. E non si cambia fede, facilmente. O meglio, è più facile cambiare fede religiosa, non dico politica, piuttosto che cambiare la squadra di riferimento. Lo dico a tutti e lo ripeto a voce alta a me stesso. Per far tacere i dubbi che scuotono la mia fede. Da quando alla guida della comunità di fedeli a cui appartengo  - i tifosi di calcio  -   è stato eletto Carlo Tavecchio.

 

 


L'ho già evocato poco più di un anno fa. Allora Tavecchio, in un discorso a braccio con i giornalisti, ironizzò sugli "Opti Pobà, che prima mangiavano le banane e oggi giocano alla Lazio..."

Peraltro, nella Lazio giocano sudamericani, tedeschi, olandesi, serbi, oltre a qualche italiano. Ma non penso che Tavecchio si riferisse a loro. E, comunque, non è razzista... Ci mancherebbe. Perché allora vorrebbe dire che
lo sono anche i dirigenti delle società italiane di calcio, che l'hanno eletto a capo della loro Federazione. E non l'hanno messo in discussione
successivamente.

Chissà, a Tavecchio magari gli era scappata. Una battuta da bar. Anche se, per divertirsi con battute così, bisogna frequentare "certi bar". Dove si riuniscono "certi" ultrà di "certe curve". Che si dedicano al lancio di banane contro giocatori che non hanno il loro colore (né, per fortuna, la loro... intelligenza).

Tavecchio, però, non ha smesso con le battute amene. Ha rivisitato tutti i luoghi osceni della (in)cultura omofobica, antisemita, maschilista. Tavecchio. Non si pente e non si ravvede mai. Così, per  evitare che ci dimentichiamo di lui, ci ha rammentato che "finora si riteneva che la donna fosse un soggetto handicappato rispetto al maschio... ". E ha aggiunto: "ma abbiamo riscontrato che sono molto simili". Così sostiene Tavecchio.

E, senza neppure un ripensamento, sostiene ancora che lui, Tavecchio, contro gli omosessuali non ha nulla. Anche se, probabilmente, non li chiama proprio così: omossessuali - e neppure gay. Perché è un uomo diretto e preferisce le espressioni popolari esplicite. Questi ... omosessuali: "Meglio lontani da me, io sono normalissimo". Sostiene Tavecchio. E riferendosi a un noto imprenditore immobiliare romano, lo definisce un "ebreaccio". Ma sostiene, ancora che, "non ho niente contro gli ebrei", ma, ovviamente, "è meglio tenerli a bada".

Ebrei, donne, omosessuali. E, prima ancora, africani. Non manca quasi nessuno.  Ma sono solo battute. Nient'altro che battute da Bar (anti)Sport(ivo). Però nei bar che frequento io (a volte ci vado, a vedere le partite...) queste cose non le sento dire. E, se le sento, mi incazzo. E me ne vado altrove.

Così i miei dubbi crescono. E mi chiedo, sempre più spesso, se io possa ancora sentirmi davvero parte di una comunità "rappresentata" da uno come Tavecchio. Anche se sono solo un tifoso. Nient'altro che un tifoso. Che
"sostiene" una maglia e una bandiera - la stessa da quand'ero bambino. Ma il tifo è una fede. E se questa "chiesa" è guidata da uno come Tavecchio, anzi, da Tavecchio, allora mi spiace. Io non c'entro. Non posso convivere con chi "sostiene Tavecchio". Preferisco scendere. E in attesa che cambi la guida, il conducente, il celebrante, meglio, intanto, cambiare sport. Ambiente. Comunità. Religione.

Da oggi tiferò per una squadra di basket.


[FONTE: Repubblica]