La ricorrenza: una manganellata 30 anni fa spense la vita di Stefano PDF Stampa E-mail
Lunedì 10 Febbraio 2014 11:20

Finito per caso fuori del Grezar alla fine di un Triestina-Udinese di Coppa Italia in mezzo agli scontri tra tifosi e polizia, Furlan morì a soli 20 anni dopo una lunga agonia. Gli amici: «Era un ragazzo tranquillo, mai fatta giustizia»

 

 

Sono passati trent’anni ma il ricordo è più vivo che mai, al pari della memoria collettiva. Ma con il ricordo riaffiora anche una ferita che sanguina ancora e che è destinata a non rimarginarsi mai. Era l’8 febbraio del 1984, quando un ragazzo di vent’anni, Stefano Furlan, al termine di un derby di Coppa Italia tra Triestina ed Udinese disputato allo stadio Grezar, ha la sfortuna di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato. Il post partita è agitato, ma non vengono segnalati scontri particolari tra le due tifoserie, in quanto i supporters friulani sono giunti in città in numero esiguo. Il tifoso rimane vittima di una carica delle forze di Polizia, in particolare della mano pesante usata da un giovane agente, Alessandro Centrone, un ragazzo che ha solo tre anni più di lui. Stefano morirà in un letto di ospedale il primo marzo, dopo venti giorni di agonia, senza più riprendere conoscenza.

Ma in realtà la sua vita si spegne in quel maledetto pomeriggio fuori dallo stadio, in un giornodi ordinaria follia. «Il ricordo di quella giornata è impresso in modo indelebile nella mia memoria e non potrebbe essere altrimenti – racconta Cristiano, storico appartenente al gruppo Ultras Trieste -. Stefano era un ragazzo timido e tranquillo e non certo un facinoroso: veniva abitualmente in curva ma non frequentava attivamente il nostro gruppo. La sua è stata una morte assurda. Non c’erano scontri particolari tra tifoserie e dunque non erano necessarie tutte quelle azioni repressive: la situazione a mio avviso non è stata gestita in modo appropriato dalle forze dell’ordine. C’è stata troppa improvvisazione dovuta probabilmente ad una certa inesperienza da parte di qualcuno. E poi tutta la questione è stata archiviata in modo troppo veloce ed alquanto scandaloso: per Stefano non c’è stata e non c’è tuttora nessuna giustizia».

Quello che rimane il fatto di sangue più grave a Trieste legato al mondo del calcio scuote le coscienze e l’intera città: la curva da quel momento decide di rimanere in silenzio in una sorta di sciopero del tifo, almeno fino a quando «sarà emersa tutta la verità e verrà fatta giustizia». Allo stadio compare immediatamente lo striscione “Stefano presente” che da quel momento accompagnerà le gesta dell’Unione in tutte le gare, sia interne che esterne, mentre, 8 anni più tardi, quando viene inaugurato il nuovo impianto, il “Nereo Rocco”, la curva degli Ultras sarà dedicata proprio alla memoria di Stefano Furlan.

Dal punto di vista giudiziario invece, la vicenda si conclude con la condanna a un anno di reclusione con i benefici di legge per Centrone per il reato di «eccesso colposo nell’uso legittimo delle armi». Un epilogo che lascia l’amaro in bocca alla famiglia di Stefano e a tutto il popolo della Curva. «È stata una cosa vergognosa – esclama Paolo, altro storico appartenente agli Ultras Trieste, a sua volta presente quel giorno allo stadio, poco più che tredicenne -. Si è cercato fino all’ultimo di insabbiare le indagini e di manipolare la verità: sbagliare è umano, però è giusto che chi commette un errore ne paghi le conseguenze. In questo modo invece si è voluto solo stravolgere la realtà e negare a Stefano non solo la giustizia ma la stessa dignità».

Da quel giorno tragico, ogni anno, nella data dell’8 febbraio, gli Ultras alabardati ricordano lamemoria di Stefano Furlan davanti alla lapide commemorativa posizionata all’esterno dello stadio e sarà così anche domani, in occasione del trentennale dalla scomparsa. «Noi portiamo il nome di Stefano Furlan in tutta Italia, in virtù di un senso di orgoglio e appartenenza – precisa Lollo, attuale portavoce del gruppo che oggi si chiama “Curva Furlan” -. E la sua memoria è presente in tutte le curve della penisola, anche in quelle delle tifoserie storicamente rivali. Il nostro spirito incarna quello delle passate generazioni anche se oggi è molto più difficile essere ultras e tifare allo stadio a causa di controlli sempre più severi e di una burocrazia esasperata: noi comunque continuiamo a portare avanti la nostra battaglia nel nome di Stefano e le curve di tutta Italia si sono unite nel suo nome, nel segno di un tributo e di una giustizia che lui purtroppo non ha avuto in altre sedi».

Pierpaolo Pitich

[Fonte: Il Piccolo]