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"Restituire il calcio al popolo" ecco l'Ardita, la squadra dei tifosi |
Venerdì 27 Dicembre 2013 10:02 |
E’ il primo club basato sull’azionariato popolare, gioca in terza categoria ed ha sede nel popolare quartiere romano di San Paolo. Trecento soci che fanno anche da ultrà. Il leader del tifo: “Se c’è Roma-Milan? Non ha più senso sbattersi per tifare dei viziati che non vivranno mai i nostri stessi problemi”
Prendete la nostalgia per il calcio di una volta. Quello con il pallone di cuoio che rotola nel fango, senza idoli televisivi e balletti strani dopo i gol, niente sponsor sulle maglie e i numeri che vanno dall’uno all’undici. Aggiungete un gruppo di ragazzi uniti dall’impegno sociale e dalla passione per la sottocultura ultrà e ambientate tutto in un quartiere proletario di Roma. Il risultato non è certo una squadra da scudetto o Champions League, ma la prima società di calcio in Italia basata sull’azionariato popolare. Si chiama Ardita San Paolo (http://www.arditasanpaolo.it/), è stata fondata all’inizio della passata stagione e si batte nel campionato di terza categoria, il gradino più basso del calcio dilettantistico. Non ha una sede sociale e neppure uno sponsor sulle maglie. Il presidente, nominato dai 300 soci, fa il vigile del fuoco a Parma, i dirigenti hanno tutti meno di 25 anni: chi non studia fa l’operaio o l’infermiera in ospedale. Eppure questo progetto sta coinvolgendo una città intera. L’intento dei fondatori, cinque ragazzi nati e cresciuti all’ombra della Basilica di San Paolo – in quel fazzoletto di città compreso tra l’Eur e la Magliana che non ha ancora perso le radici popolari – “è quello di restituire il calcio al popolo”, dicono. La strada da percorrere, per lasciarsi alle spalle il campo di pozzolana incastonato tra l’ex cinodromo occupato di viale Marconi e gli argini del Tevere, è lunga. Ma i giovani dirigenti dell’Ardita possono contare sull’apprezzamento delle 200 persone che ogni fine settimana rinunciano alla Roma o alla Lazio per seguire i gialloneri in trasferta sul litorale: da Ladispoli a Ostia. O in casa, nel derby contro il Trastevere. E se c’è Roma-Milan? “La mia fede adesso è giallonera – spiega Lorenzo, il leader del tifo. Ventitre anni e un passato da ultrà della Roma che non rimpiange – Abbiamo scelto questi colori perché sono poco convenzionali. E poi andare allo stadio è diventata una cosa da ricchi. Dopo tutti gli scandali che sono successi, non ha più senso sbattersi per tifare dei viziati che non vivranno mai i nostri stessi problemi. Invece noi dopo le partite andiamo a bere con i giocatori. La nostra è una scelta di consapevolezza”. Come ha fatto il primo allenatore, mister Franco Cervellone, un postino di 55 anni con un carattere mite e un’unica certezza sportiva: al calcio si gioca col 4-3-3. “Allenavo una squadra femminile in prima categoria – ricorda – l’ho costruita dal nulla e l’ho fatta crescere. Ma il calcio, che dovrebbe essere anzitutto divertimento, inizia a essere sporco già a questi livelli. Per questo ho scelto l’Ardita: vogliamo diventare una polisportiva, una scuola calcio dove i bambini possano imparare a giocare senza urla di rimprovero. E vogliamo vincere”. “Quest’anno il mister ha provato ad arricchire la formazione di nuove leve – sostiene il portiere, Andrea Firrincielli, 24enne studente in Scienze della formazione – Io giocavo in prima categoria, ho rinunciato a 300 euro al mese, ma sono felice. Amicizia e spirito di aggregazione qui vengono prima di tutto. Altrove no”. “Anche per questo c’è bisogno di aggregare attorno a qualcosa di sano – afferma Giulia, 23 anni, infermiera nella vita e massaggiatrice della squadra – il calcio della Serie A è marcio. Senz’anima. Non mi emoziona più”. E mentre in campo l’Ardita prova a vincere “per il popolo”, dagli spalti si levano grida e striscioni contro i tagli alla sanità e in favore degli operai dell’Ilva di Taranto. Quando l’arbitro fischia la fine, il sole è appena tramontato dietro i palazzoni di San Paolo. L’appuntamento per il terzo tempo è al chiosco di fronte alla Basilica. [Fonte: La Repubblica]
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