Trieste: tifosi finti. Calcio sempre più falso PDF Stampa E-mail
Mercoledì 08 Settembre 2010 13:06

Si vuotano gli stadi, cala il pubblico spettatore… ma lo show deve continuare! E come? Semplice: creando delle vere e proprie scenografie cinematografiche! E questo è solo l’inizio, anche se noi a Parma eravamo stati precursori (purtroppo!) di questo nuovo e triste teatrino all’italiana! Si rendono conto che gli stadi sono vuoti, ma non vogliono farlo vedere in tv... omertà e depistaggio!

 

L’articolo che segue è tratto dal sito de “La Repubblica” del 06-09-2010 a firma di Maurizio Crosetti.

 

In un calcio sempre più falso, i tifosi di plastica sono qualcosa di coerente. E così, per risparmiare sui costi di gestione di una curva (intitolata a un grande del passato, Colaussi, campione del mondo nel '38: quando non c'erano tifosi finti, però si doveva tendere il braccio verso il Duce), il presidente della Triestina chiude quel settore (risparmio di 100 mila euro all'anno, malcontati) e invece delle persone mette un telone. Le sagome non tifano, non menano, non pagano: nessuno è perfetto. Lo stadio di Trieste si chiama "Nereo Rocco", e il paròn si starà rivoltando nella tomba. E' quasi una deriva giapponese, sia detto senza offesa. Perché viene in mente quando, nelle prime edizioni della famigerata Toyota Cup (vale a dire, il nome che provarono a dare alla gloriosa Coppa Intercontinentale), sulle tribune dello stadio di Tokyo risuonava il tifo in playback, diffuso dagli altoparlanti. Un po' come accade in certi meravigliosi giardini giapponesi, dove neppure una fogliolina è fuori posto e dove, per esempio a Kobe, a volte cinguettano passerotti meccanici. E pure le mai troppo vituperate vuvuzelas, nella recente estate del nostro scontento, non erano tutte vere: venivano infatti sparate dalla regia degli impianti, alzando il volume di questa specie di base sonora da karaoke quando una delle due squadre si avvicinava alla porta avversaria. I tifosi di plastica sono un risparmio economico, ma più che altro una metafora. Raccontano di un calcio che ha venduto l'anima (ma anche quella parte del corpo appena sotto la cintura dei pantaloni, vista però da dietro) alle tivù, dunque alla virtualità, senza la quale non si sopravvive perché garantisce gli unici soldi freschi, non come le banconote del Monopoli con cui si è svolto l'ultimo mercato, comprando con debiti, con promesse, mica cash. E chissà come saranno contenti i giocatori, visti da occhi disegnati, applauditi da mani dipinte: anche se poi i loro stipendi li pagano le televisioni, dunque il cerchio è chiuso. Come la curva.

Tifosi finti a TriesteTifosi finti a Trieste

 

Nel servizio di Sky Sport (in basso troverete il link tratto da you tube), vorremmo sottolineare la frase che giustifica questa trovata, citata dalla giornalista: "Per regalare un colpo d'occhio più accettabile alle televisioni". Questo alimenta ulteriormente i nostri "sospetti": nel mondo del calcio quello che conta è soddisfare le televisioni, l'apparenza, a favore del business e a discapito dei tifosi, tesserati e non.