4 anni, 3 mesi, 3 giorni PDF Stampa E-mail
Venerdì 17 Febbraio 2012 20:35

Riportiamo qui di seguito un'intervista a Maurizio Martucci apparsa sulla Settimana Sportiva del 16 febbraio 2012.

 

La sentenza definitiva che condanna Luigi Spaccarotella per l’omicidio volontario di Gabriele Sandri è arrivata. Ne parliamo con Maurizio Martucci, da sempre vicino alla famiglia di Gabbo e collaboratore storico di Settimana Sportiva.

Glezos: Un tuo commento sulla sentenza della Cassazione, a mente quasi fredda.

Maurizio Martucci: Sicuramente una sentenza corretta, che ha ristabilito la verità dei fatti e che soprattutto ha chiuso un iter giudiziario particolarmente tortuoso. Una vicenda tormentata che si è conclusa nel modo migliore, visto che al di là dei tecnicismi del diritto la sentenza è di omicidio volontario.

G: Spaccarotella è stato condannato a 9 anni e 4 mesi: come mai così pochi, nonostante la volontarietà dell’omicidio?

MM: L’osservazione è assolutamente pertinente. Va considerato l’iter che ha portato alla condanna, oltre all’interdizione dai pubblici uffici. In Italia l’omicidio volontario può arrivare a una condanna massima di 21 anni, ma dobbiamo partire dal presupposto che il processo si è svolto con il rito abbreviato, e questo già comporta la riduzione di un terzo della pena. Nei primi due gradi di giudizio, dove la giurisprudenza entra nel merito del reato, il pubblico ministero aveva chiesto una condanna a 14 anni. La Cassazione, che stabilisce la correttezza della procedura, ha emesso una sentenza a 9 anni e 4 mesi semplicemente perché ha fissato in un certo senso il minimo del massimo della pena, ovvero omicidio colposo con gradazione minima del dolo eventuale. Tradotto in soldoni, la condanna è il frutto del dolo eventuale abbinato allo sconto di un terzo della pena relativo al rito abbreviato.

G: A naso, quanti anni sconterà realmente Spaccarotella?

MM: Anche qui dobbiamo partire da un presupposto giuridico, tralasciando l’onda emotiva. Va da sé che una persona incensurata come Spaccarotella (perché fino a prova contraria fino all’omicidio di Gabriele l’agente di PS aveva un casellario giudiziario immacolato), anche considerando il fatto che andrà a scontare la pena non in un carcere ordinario ma in un carcere militare, con tutti i benefici di cui potrà godere, direi che alla fine dei 9 anni e 4 mesi potrebbe scontarne cinque.

G: Che differenza c’è tra carcere militare e ordinario?

MM: Anche questa è una differenza sostanziale, con un tecnicismo decisivo. In sintesi, fino alla sentenza definitiva della Cassazione l’agente Spaccarotella era semplicemente sospeso dal servizio, poiché in uno stato di diritto c’è il presupposto di non colpevolezza fino al terzo grado di giudizio. Solo dopo il pronunciamento della Cassazione, Spaccarotella è automaticamente espulso dall’arma. E qui arriva il tecnicismo: fintanto che la Cassazione di Roma non trasmette gli atti alla Procura Generale a Firenze -e questo può ragionevolmente avvenire nell’arco di 10 giorni- in questo vacatio temporum di poco più di una settimana Spaccarotella è ancora ufficialmente un agente di PS sospeso dal servizio. Arrivati i documenti alla Procura di Firenze, scatterà l’espulsione dalla Polizia di Stato. Ma andando a costituirsi ieri mattina presso una caserma dei carabinieri di Arezzo, Spaccarotella ha beneficiato di questo breve lasso di tempo per consegnarsi alla giustizia ancora in veste di poliziotto sospeso. Il che gli ha permesso di chiedere di scontare la pena all’interno di una casa circondariale militare, all’interno della quale ci saranno militari ed ex agenti di PS condannati anche loro in via definitiva, ma non il tossicodipendente, lo spacciatore, il rapinatore o l’omicida che avrebbe potuto avere accanto in un carcere ordinario.

G: Dopo la sentenza, su alcuni media -in particolare sul ‘Fatto Quotidiano’- sono emersi commenti di lettori che iniziano a fare dei distinguo, del tipo: “Spaccarotella è colpevole, ma non voleva uccidere, colpa degli ultras che se la vanno a cercare”. Come vengono recepiti i crudi fatti in questo paese, e cosa sta succedendo in Italia alla capacità di comprendere quello che succede intorno?

MM: Ahimè -e lo dico da giornalista che si occupa spesso e volentieri di cronaca nera-, è un penoso difetto di comunicazione. Il processo di output che avviene negli organi d’informazione fa sì che una notizia non venga colta per quello che è, e questo per una serie di motivi, fattori esterni, condizioni culturali e soggettive da parte degli stessi fruitori dell’informazione. Ci si abbandona sullo stereotipo, sul preconcetto, su “quello che penso io” come fruitore della notizia, e non sulla dinamica complessiva del fatto che si sta analizzando. E questa è una pecca tipicamente italiana. Perché i fatti veri, quelli accaduti realmente, a volte dicono cose molto chiare. La vicenda di Gabriele Sandri passerà alla storia perché rappresenterà un caso di studio per quanto riguarda la giurisprudenza, poiché al di là della cosiddetta ‘banda della Uno bianca’ a lume di naso non ricordo agenti di PS coinvolti in modo diretto o indiretto in casi di omicidio che poi siano stati condannati in via definitiva dalla nostra magistratura. Perché senza fare retorica e senza volere scomodare casi storici, da Pinelli a Gabriele Sandri è la prima volta che questo accade. Quindi i commenti fuori luogo danno la misura di quanto la mediocrità imperante non faccia cogliere fatti che si sono dimostrati profondamente rilevanti.

G: Qualcuno ha puntato il dito contro la famiglia Sandri e lo stesso Gabriele, descritto come “ultras fascista il cui padre ha molte leve da manovrare”, con paragoni allucinanti con la vicenda del povero Federico Aldrovandi e sui ‘favori’ concessi ai Sandri rispetto alla famiglia di quest’ultimo. Cosa ne dici?

MM: Ho letto anch’io questi commenti, che mi hanno lasciato davvero sconcertato. Anche questa è una cartina tornasole di quanto si faccia fatica in Italia a capire che siamo nel terzo millennio. Ridurre a un tale livello di polemica pseudopolitica l’omicidio di un cittadino di 26 anni da parte di un agente di polizia la dice lunga sul fatto che in Italia non solo non si sia capito il fatto in sé, ma anche che sarebbe bene non tirare in ballo questioni che non si conoscono e che non appartengono né al fatto né al momento storico. Perché se proprio vogliamo addentrarci in materia, qui non si capisce che nel 2012 siamo andati non solo ben oltre il crollo delle ideologie, ma addirittura al tramonto dell’economia. Sentire accusare la famiglia Sandri di essere manovratrice di chissà quali fili occulti, beh, mi fa restare sbalordito e indignato. Soprattutto dopo avere conosciuto bene i Sandri, dal di dentro, sapendo quale battaglia hanno dovuto ingaggiare, quale montagna hanno dovuto scalare. Ho visto da vicino la dignità con la quale la famiglia di Gabriele si è interfacciata con tutte le altre famiglie colpite da lutti simili, in primis proprio dalla famiglia Aldrovandi, con la mamma di Federico che in mia presenza dice a Giorgio Sandri: “Siete un esempio: è grazie a voi che ho trovato il coraggio di venire fuori e raccontare la vicenda di mio figlio”. Tutto questo non lo si sa e non lo si dice. Alla fine, questa battaglia così bella, condotta alla luce del sole in punta di diritto e nel pieno rispetto delle leggi e della Costituzione viene inficiata da commenti e deliri che ci portano indietro di due secoli.

G: Ci sono i morti con le leve e quelli senza, quelli in vista e quelli no. Restano i vivi: le persone normali e gli ultras. Quelli come Gabriele, che se vanno in trasferta in fondo se la vanno a cercare.

MM: Hai toccato un punto nodale. E a questo punto nodale voglio rispondere con le parole che ha pronunciato in aula il Procuratore Generale nell’udienza di Corte di Cassazione a Roma. Sono parole che in modo semplice chiariscono la faccenda. Nella dinamica dell’omicidio di Gabriele Sandri, se dall’altra parte della corsia in autostrada ci fosse stato un pregiudicato con la pistola in mano e avesse fatto fuoco, qualsiasi giudice ci avrebbe messo 20 secondi a condannarlo. Se invece a sparare fosse stato un tifoso, lo stesso giudice avrebbe impiegato 40 secondi nel condannarlo. Io ci aggiungo che siccome a fare fuoco dall’altra parte della corsia c’era Luigi Spaccarotella, agente di Polizia, ci sono voluti 4 anni, 3 mesi e 3 giorni per arrivare a una sentenza chiara, netta e definitiva. Questo cosa significa? Che la divisa indossata da Spaccarotella sposta l’asticella rispetto a un’assioma fondamentale della nostra giurisprudenza e di un paese di diritto e democrazia avanzata, e cioè che la legge è uguale per tutti. Non si può interpretare la legge in modo arbitrario rispetto al soggetto che compie l’azione: se fosse passata questa visione sarebbe stata giustificata la legge della giungla. Non può essere possibile che lo stesso atto commesso da persone diverse nello stesso contesto possa essere giudicato dalla magistratura con pesi e misure differenti. La sentenza della Cassazione sull’omicidio di Gabriele Sandri è importante soprattutto per questo.

[FONTE: Settimana Sportiva]