Fondazione Gabriele Sandri: Chiedere verità e giustizia è un diritto per Paolo e per tutti PDF Stampa E-mail
Mercoledì 21 Settembre 2011 18:39

Appellarsi alla magistratura, ricercando la verità, non può mai essere un’eccezione. Tantomeno si può pensare di scambiare una richiesta di giustizia giusta per un sussulto vendicativo. Perché in una democrazia matura e in uno Stato libero, verità e giustizia sono sinonimo di diritti civili e garanzia della terzietà, nel rispetto di regole certe e vita comune.


E così, come già per le udienze del processo del delitto di Gabriele Sandri, fuori dal tribunale di Verona si sono ritrovati ieri molti tifosi di calcio, provenienti da più parti d’Italia: Brescia, Bergamo, Padova, Cava dé Tirreni e anche sostenitori dell’Hellas.

Tutti uniti in solidarietà di Paolo Scaroni, 34 anni, tifoso bresciano, miracolosamente risvegliatosi da un coma lungo 2 mesi e oggi invalido al 100%, colpa il pestaggio subito nel 2005 in una carica d’alleggerimento delle forze dell’ordine, nel viaggio di ritorno in treno dalla trasferta Verona-Brescia.

A 6 anni dai fatti, con l’ipotesi di reato di lesioni su Scaroni e su altri 22 tifosi lombardi rimasti feriti, sono stati rinviati a giudizio 8 agenti della Squadra Mobile del reparto di Bologna.

Su di loro pesa l’accusa di aver “violato i doveri inerenti la funzione di pubblico ufficiale”, contro cui il difensore sostiene che “non ci sono elementi agli atti che attestino la responsabilità dei miei assisiti”.

“Ero un ragazzo normale, con amicizie, una ragazza, passioni, sani valori. Ero soprattutto un grande tifoso del Brescia. Una persona normale, come tante. Caro Ministro dell’Interno - ha scritto Paolo Scaroni all’On. Roberto Maroni, definendosi vittima di uno Stato distratto - non cerco vendetta, se mai giustizia“.

Al tempo dell’azione investigativa, condotta caparbiamente da una funzionaria della Questura di Verona che riuscì a spingersi anche oltre i (soliti) muri di gomma, il settimanale L’Espresso scoprì comunque “verbali truccati. Testimonianze insabbiate. Filmati spariti”. Macché, sostiene il legale dei poliziotti, “non ci sono stati né insabbiamenti, né depistaggi”.

Adesso tocca al giudice fare chiarezza. Dirci come andarono davvero le cose e, soprattutto, spiegarci com’è stato possibile che un ragazzo inerme ha dovuto lottare tra la vita e la morte su un letto d’ospedale per un’azione condotta da agenti della Polizia di Stato.

Sin d’ora, però, una cosa è certa: il mondo del calcio e i suoi appassionati chiedono solo di accertare responsabili e responsabilità, senza fornire inutili alibi a chi vorrebbe far passare il teorema che fuori e dentro gli stadi possano regnare delle vere e proprie zone franche. E che i tifosi di calcio non siano cittadini della Repubblica italiana.    



Fondazione Gabriele Sandri


FONTE :  www.fondazionegabrielesandri.it